Fino all’ultimo non canta vittoria. È lo stile della casa. Ancora alla vigilia Raffaele Fitto, ministro e consigliere fidato di Giorgia Meloni con i galloni di commissario europeo, cuore democristiano, lascia sulle spine gli amici che telefonano: «Sono ottimista..». Ma è molto più che semplice ottimismo quello che negli ultimi giorni ha disteso gli animi della presidente del Consiglio e del suo cerchio stretto a Palazzo Chigi.
L’attesa
Oggi Ursula von der Leyen ufficializzerà la nuova Commissione. E a Roma danno per fatto questo schema: Fitto vicepresidente esecutivo, commissario al Pnrr e ai fondi di Coesione. Lo “scalpo” europeo più ambito da Meloni, la vicepresidenza esecutiva che significa un posto in prima fila nella plancia di comando Ue, è a un passo. Salvo imprevisti dell’ultimo minuto.
E forse non è un caso se ieri il Quirinale ha comunicato la visita del commissario in pectore, ricevuto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella. Bocche cucite sul colloquio al Colle incentrato sui «temi europei».
Ma bastano la convocazione e l’annuncio a far leggere tra le righe un messaggio politico. Ovvero uno “scudo” istituzionale del presidente della Repubblica al nuovo commissario italiano che non è e mai potrebbe trasformarsi in endorsement partitico. È semmai la conferma di quanto ripetuto in pubblico da Mattarella negli ultimi mesi. Quando non ha mancato di ricordare a chi governa a Bruxelles che «l’Europa non può prescindere dall’Italia». Uno scenario temuto e credibile, due mesi fa, quando Meloni ha ordinato ai suoi eurodeputati di votare contro alla rielezione di von der Leyen nell’aula di Strasburgo.
Due mesi dopo, sono convinti ai vertici del governo, quel veto non ha escluso l’Italia dalla plancia di comando europea. Non ha penalizzato Fitto, pronto a sedersi accanto a “Ursula” nella nuova Commissione con il titolo di “mister Mille miliardi”, perché a tanto ammonta il doppio portafoglio che gestirà sia il Recovery europeo che i fondi di Coesione. Ieri la visita di Fitto al Colle non è passata inosservata al Nazareno, dove la segretaria Elly Schlein si arrovella sul da farsi: votare contro il commissario italiano di Fratelli d’Italia per dare un dispiacere a Meloni, come chiede un’ala corposa dei socialisti europei, o fare quadrato intorno al connazionale?
La via che portava alla prima scelta, già di per sé tortuosa, ora si è fatta più ripida con il faccia a faccia tra Fitto e Mattarella. Non sarà facile trovare un appiglio per impallinare l’ex governatore pugliese, che in queste settimane, proprio come Meloni, ha tenuto un canale aperto con la dirigenza Pd a Roma e Bruxelles. Ancora ieri, in casa dem, ci si chiedeva ad esempio se il cambio in corsa del commissario francese — con l’uscita di Thierry Breton e l’entrata last-minute del fedelissimo di Macron Stéphane Sejourné — non si trasformi in un boomerang per l’Italia. «Ricostruzioni surreali», tagliano corto da Palazzo Chigi. La questione francese, da chi consiglia la premier, è bollata come una «trama tutta interna» alla politica d’Oltralpe, un accordo tacito tra Macron e Von der Leyen per piazzare il braccio destro del presidente francese a Bruxelles. Questione di ore e si sapranno tutti i tasselli del mosaico. Pochi quelli rimasti in sospeso. La spagnola Teresa Ribera sarà la socialista più alta in grado nella nuova Commissione, e per lei Madrid ha da tempo messo gli occhi su un Green Deal 2.0, “riformato” per accentuarne il versante industriale.
La squadra
Certa del titolo è già Kaja Kallas, ex premier estone che diventerà la nuova capa della diplomazia Ue, poiché così prevedono i Trattati, mentre completerebbe il quadro dei vice di von der Leyen il lettone Valdis Dombrovskis, al suo terzo mandato a Bruxelles, stavolta per occuparsi di coordinamento dell’Allargamento e della ricostruzione dell’Ucraina. Ma non è escluso che continui ad avere la supervisione dei portafogli economici, com’è stato finora. In sella tra i numeri due, per occuparsi di amministrazione Ue, dovrebbe rimanere pure Maros Sefcovic: vicino alla presidente, sconta tuttavia la cacciata del suo partito, i social-nazionalisti slovacchi di Smer, dai ranghi socialisti. Con 15 componenti del collegio (von der Leyen compresa) su 27, i popolari del Ppe avranno una netta maggioranza nel plenum della Commissione e faranno man bassa delle deleghe più pesanti, dall’Agricoltura al Commercio fino all’Energia.
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