19.05.2025
12 Street, Rome City, Italy
Politics

«Pronta a lavorare con chi mi ha votato». Rieletta presidente con 401 voti


Si batte la mano destra sul cuore, stringe i pugni e li alza al cielo in segno di vittoria, distendendosi finalmente in un (composto) sorriso. Ce l’ha fatta, Ursula von der Leyen. Sarà di nuovo l’ex ministra dei governi Merkel, 66 anni a ottobre, a guidare la Commissione europea per i prossimi cinque anni. La abbraccia Manfred Weber, il capo dei Popolari Ue tra gli artefici della sua vittoria. E la abbraccia – ed è questa la foto del giorno – Terry Reintke, la leader dei Verdi che l’hanno salvata dallo sgambetto apparecchiatole dai franchi tiratori, una cinquantina almeno.

«Sono molto grata ai Verdi per il loro supporto», commenta lei subito dopo: «Lavorerò il più possibile con coloro che mi hanno sostenuto, che sono pro-Ue, pro-Ucraina, pro-Stato di diritto». Parole che se lette in un’ottica italiana fanno fischiare le orecchie ai Fratelli d’Italia. Perché dopo giorni di riflessioni, di scambi e telefonate sull’asse Roma-Bruxelles, di concerto con la premier i 24 meloniani al Parlamento europeo decidono per il rompete le righe: «Abbiamo votato no al bis», spiegano in un punto stampa convocato a cose fatte. Il motivo? «Restiamo quello che siamo: la piattaforma politica, la ricerca di un consenso a sinistra fino ai Verdi – spiegano – hanno reso impossibile il nostro sostegno».

Un sostegno che di fatto si dimostra non necessario. E forse, si mormora nei corridoi dell’edificio Loiuse Weiss di Strasburgo, è anche per questo che i Fratelli alla fine decidono di sfilarsi. Von der Leyen incassa una maggioranza solida: i sì sono 401, 41 in più del necessario. Cinque anni fa il margine fu di soli nove voti.

Von der Leyen rieletta, la lunga fila di eurodeputati in attesa di omaggiarla con abbracci e selfie

GLI IMPEGNI

Ieri mattina, invece, i volti tra i supporter di Ursula erano visibilmente più distesi. Specie dopo aver ascoltato i 50 minuti di discorso all’emiciclo alternando inglese, francese e tedesco. Discorso in cui von der Leyen fa ampie concessioni alle richieste del partito ecologista, a cominciare da un nuovo “Clean industrial Deal” nei primi cento giorni. E annuncia un obiettivo ambizioso da approvare entro i primi cento giorni: una legge per tagliare le emissioni i gas serra del 90% dentro il 2040.

Certo il programma, commenta sornione qualcuno, ricorda la lista dei doni di babbo Natale. Perché com’era previsto Ursula l’ecumenica regala qualche soddisfazione a tutti, e tutti possono sentirsi almeno un po’ accontentati. I socialisti e Renew sulla difesa europea e la modifica dei Trattati. I conservatori sulla stretta all’immigrazione clandestina e sugli accordi da perseguire coi Paesi di partenza e di transito, sul modello impostato dall’Italia col Piano Mattei. Ma pure su un commissario ad hoc per il Mediterraneo.

Ma tanto non basta, per FdI, a compensare lo «spostamento a sinistra» sulle politiche ambientali. Subito dopo il voto, in conferenza stampa, a von der Leyen chiedono se il mancato sostegno dei meloniani non dimostri che si poteva tentare una strada diversa. «Noi abbiamo lavorato per una maggioranza democratica, per un centro pro-Ue che alla fine mi ha sostenuto», replica lei serafica. «Credo che il nostro approccio sia stato corretto, il voto di oggi ne è la dimostrazione».

Poi i ringraziamenti a quella che considera davvero la “sua” maggioranza, la piattaforma Ppe, Renew e S&D. Che pure da sola non sarebbe bastata, a garantirle la rielezione. I numeri sulla carta c’erano: tecnicamente la “maggioranza Ursula” senza Verdi poteva contare già da sé su 401 voti. Ma il rischio di franchi tiratori era dietro l’angolo, a cominciare dai sei popolari francesi che hanno confermato il loro no (così come i due socialisti francofoni del Belgio). Mina disinnescata solo grazie all’arrivo dei Verdi, compresi i tre italiani, che disponevano in tutto di 53 voti. A cui vanno forse tolti i cinque della delegazione francese, più dubbiosa, che potrebbero essere confluiti nell’astensione (che segna quota 15). Calcolatrice alla mano: Ursula avrebbe dovuto ottenere 453 sì, ne porta a casa 401. E può contare pure sul sostegno di qualche esponente dei Conservatori, che marciano divisi, come i cechi. Senza gli ecologisti, insomma, la maggioranza di 360 su 719 (non 720 perché il seggio andato a un separatista catalano non è stato convalidato) sarebbe mancata per almeno una decina di voti. E il finale della giornata sarebbe stato diverso.

L’OTTIMISMO

Sarà anche per questo che pur respirando un certo ottimismo nei minuti precedenti la conta, nessuno si sbilancia. Von der Leyen torna in Aula alle 14, percorrendo a grandi falcate le lunghe passerelle dell’edificio attorniata da un codazzo di assistenti. Il volto tirato in un’espressione indecifrabile, i capelli in perfetto ordine. Dario Nardella, al mattino, si lancia in una previsione: «Finirà un po’ meglio dell’altra volta». Conti azzeccati. Anche se mai tanto precisi quanto quelli di un esponente forzista di peso poco prima dell’annuncio: «Finiamo a 401».

Il Pd fa professione di compattezza granitica: «Da noi nessun franco tiratore», assicura Brando Benifei. E pure gli indiziati della vigilia, gli indipendenti dem Marco Tarquinio e Cecilia Strada, a quattr’occhi coi colleghi assicurano: il nostro sì non è mancato.

Alla fine più delle ricostruzioni e delle dietrologie, a parlare è l’istantanea di fine discorso di von der Leyen, alle dieci del mattino. Popolari in piedi a spellarsi le mani, applausi da Renew e ancor più convinti dai Verdi, ma pure dai socialisti. Con la delegazione del Pd che vede Stefano Bonaccini e Pina Picierno tra i primi a scattar su per la standing ovation, e pure a congratularsi con Ursula dopo l’elezione. Impassibili gli occupanti dei banchi di Fratelli d’Italia, che durante tutto il discorso concedono ben pochi applausi alla presidente. Lo stesso gelo che si respira nel settore di non iscritti, Patrioti e Sovranisti.

Che però è teatro di un vero e proprio show durante l’intervento di von der Leyen. Protagonista, l’eurodeputata romena Diana Iovanovici-Șoșoacă. Già nota alle cronache in quanto fervente no vax («la pandemia non esiste», continuava a gridare fuori dall’aula durante il Covid) e per aver “sequestrato” la giornalista Rai Lucia Goracci. Ieri Șoșoacă ha interrotto per tre volte il discorso di von der Leyen. Poi, quando è stata bandita dall’aula dalla presidente Roberta Metsola, prima ha indossato una museruola da cane – segno di protesta contro i giornalisti che «mentono sulla pandemia» –, poi ha sfoderato due icone sacre e un sacco nero dell’immondizia, prima di essere finalmente accompagnata fuori dai commessi. Performance soltanto avvicinata dalla polacca del gruppo Esn Ewa Zajączkowska-Hernik. Che sguardo fisso su von der Leyen, prima le strappa teatralmente davanti alcune pagine del Green Deal. Poi la accusa di essere responsabile «di ogni stupro e di ogni tragedia causata dai migranti illegali» che arrivano in Ue. Von der leyen, intanto, la osserva impassibile seduta sui banchi della Commissione. Probabile che nei prossimi cinque anni dovrà sfoderarla ancora, quest’aura di imperturbabilità, per tenere insieme una maggioranza tanto ampia e diversa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Leave feedback about this

  • Quality
  • Price
  • Service
[an error occurred while processing the directive]