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POLITICA — Il Messaggero


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Dalla Cisl alla Presidenza del Consiglio. Luigi Sbarra è stato nominato da Giorgia Meloni sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per il Sud. A quattro giorni dal flop referendario, la mossa della premier è letta da alcuni come un tentativo di riallacciare i rapporti con il mondo del lavoro, dopo una fase segnata dal no al salario minimo e dalla difficoltà ad affrontare l’aumento dei salari. Sbarra, classe ’60, calabrese, ha giurato ieri al Quirinale e subito dopo Meloni ha chiarito l’intento della nomina: rafforzare l’occupazione nel Mezzogiorno, “perché è stata la locomotiva d’Italia”. Una scelta che non nasce all’improvviso. Già con la nomina di Raffaele Fitto a commissario europeo nel dicembre 2024, la premier aveva mantenuto per sé la delega al Sud, fino a  ieri, ufficialmente passata nelle mani di “Gigi”. L’intesa con Sbarra era già cosa nota, ed è stata ancora più evidente lo scorso febbraio, quando Meloni partecipò all’assemblea della Cisl che segnava il passaggio di testimone alla nuova segretaria, Daniela Fumarola
La nomina ha alimentato letture diverse. Da un lato, è stata interpretata come un modo per rafforzare il dialogo con un pezzo importante della rappresentanza sindacale e dall’altro, come una mossa che potrebbe acuire le distanze tra i sindacati. È nota l’antipatia che accomuna Meloni e Sbarra nei confronti di Maurizio Landini e inoltre in diverse occasioni la Cisl si è schierata con il governo come nel caso dei cinque quesiti referendari della scorsa settimana.
Quanto a Sbarra, nel giro di tre mesi ha lasciato la guida della Cisl ed è entrato a Palazzo Chigi. Non è il primo a compiere un simile passaggio. Renata Polverini, ad esempio, lasciò l’Ugl per candidarsi alla guida della Regione Lazio. Ma mentre lei si presentò agli elettori, Sbarra ha assunto un incarico diretto nel governo. Altri ex leader della Cisl come Franco Marini, Pierre Carniti, Sergio D’Antoni, Savino Pezzotta, Raffaele Bonanni e Annamaria Furlan hanno intrapreso percorsi politici, anche se quasi sempre a distanza di tempo dalla fine del loro mandato sindacale. Solo Marini entrò nel governo poche settimane dopo aver lasciato la Cisl, e lo fece per assumere l’incarico di ministro del Lavoro in seguito alla morte improvvisa di Donat-Cattin.

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