La revisione dei programmi europei con le Regioni può portare in dote alle politiche per la casa fondi quasi triplicati. «C’è una richiesta di 887 milioni», spiega il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le politiche di coesione, Tommaso Foti. Il governo ha allo studio un nuovo Piano Casa per garantire l’accesso ad abitazioni a un prezzo abbordabile. Dal 2027 sono stanziati per il progetto 600 milioni. Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, vorrebbe però risorse già sul 2026, per far partire la progettazione e almeno 20 iniziative pilota, una per regione. Il fondo sociale per il clima e la revisione dei fondi di sviluppo e coesione sono, anche a detta del titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, i canali sui quali agire.
Quale disponibilità potrebbe esserci da questi due veicoli?
«Per quanto riguarda il fondo sviluppo coesione è già stato assegnato, e in buona parte anticipato, a tutte le amministrazioni centrali che quindi ne hanno piena disponibilità. Sulle politiche abitative stiamo perfezionando la revisione dei programmi di coesione con le Regioni, che può triplicare le risorse destinate a questo ambito, recependo una delle priorità sollecitate di recente dalla Commissione Europea accanto, ad esempio, all’innovazione tecnologica, alla resilienza idrica, alla transizione energetica e alla difesa»
Non c’è il rischio che risorse pensate soprattutto per le aree del Sud non incontrino la domanda abitativa forte soprattutto in altre aree?
«In verità sui fondi di coesione anche alcune Regioni del Centro e del Nord hanno previsto di riservare fondi per mettere a disposizione alloggi a prezzi accessibili».
Intanto nell’ultimo cdm è arrivata una richiesta ai ministri ad accelerare sulla spesa e due giorni fa sono arrivati i primi sette accordi con amministrazioni centrali e ministeri. Come procede la programmazione?
«Si tratta di accordi che complessivamente impegnano 15 miliardi di euro, di cui le Amministrazioni centrali ne hanno avuti in anticipo 9, legati a determinati programmi. Sette amministrazioni li hanno definiti nei giorni scorsi con un impegno di spesa di 3,4 miliardi. A breve seguiranno le restanti Amministrazioni. Ovviamente i tempi sono importanti, anche perché stiamo parlando della programmazione 2021-2027 che è stata fortemente condizionata dal Covid e dai ritardi, a livello europeo, nella stipula dell’accordo di partenariato».
Nel frattempo lo scorso 10 ottobre avete inviato a Bruxelles la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Che tempi prevedete per il via libera, così da poter entrare nel vivo dell’ultima fase di attuazione?
Ritengo che entro i primi giorni di questa settimana la Commissione approverà la proposta di revisione e poi la inoltrerà al Consiglio per l’approvazione definitiva entro novembre. In parallelo stiamo continuando a lavorare per la positiva valutazione dell’ottava rata, il cui pagamento ritengo possa avvenire entro questo mese, e al conseguimento degli obiettivi legati alla nona, che pensiamo di richiedere entro la fine dell’anno».
In questo momento la Ue discute del piano finanziario pluriennale 2028-2034. Ci sono diverse perplessità degli Stati sulla proposta della Commissione, L’Italia come si pone?
«Riteniamo che istituire un unico piano nazionale di partenariato nazionale e regionale non debba tradursi in un indebolimento delle politiche fondate sul trattato. Quindi Politica agricola e coesione devono essere escluse da questo meccanismo. Il bilancio sull’agricoltura per di più dovrebbe essere aumentato in modo adeguato al fine di affrontare le nuove sfide che interessano il settore. Quanto alla coesione, la programmazione deve rimanere in capo alle Regioni. E le misure poi di sostenibilità ambientale devono mantenere un approccio fondato su incentivi positivi e su base volontaria».
E sulle risorse proprie?
«Pensiamo che sia del tutto evidente la necessità di escludere misure che indeboliscono la competitività o che possono gravare ulteriormente sui cittadini, come Core, l’imposta europea sulle imprese, e Tedor, che prevede di destinare all’Unione una percentuale del gettito nazionale derivante dalle accise sui prodotti del tabacco».
Perché?
«La prima può comportare un potenziale onere verso tutta la catena del valore, la seconda un aumento dei prezzi. Riteniamo siano due elementi sui quali occorre necessariamente intervenire in modo del tutto diverso e, nel caso, eliminarle».
Si parla di un vertice in settimana per iniziare a mettere a punto i possibili emendamenti al disegno di legge di Bilancio.
«Eventuali modifiche non possono alterare i saldi di finanza pubblica, perché quelli devono rimanere tali. In secondo luogo vanno valutate nel contesto generale della manovra le cui finalità sono mettere a disposizione maggiori risorse per le imprese, le famiglie e la sanità e tenere un deficit che ci consenta di uscire con anno d’anticipo dalla procedura Ue».
Ma ad esempio il costo sugli affitti brevi potrebbe essere gestibile?
«Vediamo le proposte in merito, ma va ricordato che la cedolare secca al 21% venne introdotta come incentivo per le locazioni a uso abitativo, che hanno finalità diversa da quelle dell’affitto breve».
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