Giancarlo Giorgetti sulle pensioni ha iniziato ad usare lo stesso linguaggio franco che fino ad ora aveva riservato al Superbonus. E si sa come è andata a finire per il 110 per cento. Rispondendo ad un Question time presentato dal deputato di Italia Viva Luigi Marattin, che gli ha chiesto se il governo avesse intenzione nella prossima manovra di introdurre nuovi scivoli per anticipare il pensionamento, Giorgetti ha alzato quello che a molti è sembrato un muro. «Parliamo», ha detto il ministro, «molto spesso in questa Aula di pensioni, sarebbe il caso di cominciare a parlare di quello che è il trend demografico del Paese: nessun sistema pensionistico è sostenibile in un quadro demografico come quello attuale». Insomma, «eventuali» interventi, ha detto, potranno essere definiti solo «all’interno e in modo coerente alla sostenibilità complessiva della finanza pubblica». Già lo scorso anno, con il Patto di Stabilità sospeso, Giorgetti mise un freno deciso alle uscite anticipate. In che modo? Primo: stringendo gli scivoli di Quota 103 e Opzione Donna. Nel primo caso obbligando non solo a un ricalcolo “contributivo” dell’assegno per chi avesse scelto lo scivolo, ma anche obbligando i prepensionati ad attendere fino a 9 mesi prima di ricevere l’assegno (il cosiddetto meccanismo delle finestre). Nel secondo caso permettendo l’uscita solo ad alcune categorie di donne, quelle che svolgono mansioni gravose o che si prendono cura di non autosufficienti. «Non intendo negare la giusta aspettativa del pensionamento anticipato», ha detto il ministro, «ma è stato fatto quanto era possibile». Si potrebbe pensare, insomma, che al massimo saranno confermate queste misure. Anche perché quest’anno, a differenza dello scorso, la manovra dovrà tenere conto del nuovo Patto di Stabilità che ha introdotto, tra le altre cose, un nuovo vincolo: la spesa pubblica netta primaria non potrà aumentare oltre una certa percentuale, stabilita ben sotto il 2%.
I CONTEGGI
Le pensioni e l’assistenza da sole valgono circa il 40 per cento di questa spesa. Per comprendere quanto la questione sia complicata, basta leggere l’ultimo rapporto pubblicato qualche giorno fa dalla Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico italiano.Viene spiegato che nei prossimi anni la spesa previdenziale prenderà la rincorsa. Ci saranno sempre più pensionati per l’uscita dal lavoro della generazione dei baby boomers, e le pensioni contributive, più basse, per ora non riusciranno a controbilanciare la maggior spesa dovuta ai pensionamenti.Quello italiano è un sistema a “ripartizione”. Significa che ogni mese le pensioni sono pagate grazie ai contributi versati dai lavoratori all’Inps. Nel lungo periodo, in mancanza di nascite, i lavoratori saranno sempre meno e i pensionati sempre più. Per questo l’età di pensionamento è destinata a crescere. Per la prima volta, la Ragioneria ha alzato nelle sue stime l’età considerata lavorativa a 69 anni. Significa che considera 70 anni quella di pensionamento. «La scelta di un’età pari a 70 anni come limite di demarcazione fra popolazione in età di lavoro e popolazione anziana», si legge nel rapporto, «è motivata dall’evoluzione dei requisiti di accesso al pensionamento previsti dalla normativa vigente».
IL PASSAGGIO
Si potrà deviare da questo andamento? Secondo quanto spiegato da Giorgetti, solo se il sistema resta in equilibrio. Solo cioè, se non si aggravano i costi per le finanze pubbliche. L’anno scorso, per la prima volta, è stata decisa una stretta anche sui requisiti del sistema contributivo, quello che in teoria dovrebbe reggersi sulle sue gambe. Il contributivo permette di anticipare la pensione di tre anni a chi ha raggiunto un assegno di un certo importo avendo 20 anni di contributi alle spalle. L’importo dell’assegno era inizialmente di 2,7 volte quello minimo. È stato alzato a tre volte. Al Cnel il presidente Renato Brunetta ha voluto un tavolo per studiare una possibile riforma delle pensioni. Una delle proposte elaborate dall’ex attuario dell’Inps Antonietta Mundo, che partecipa al tavolo, prevede di introdurre una flessibilità tra 64 e 72 anni, ma alzando a 25 anni i contributi minimi richiesti. Sul prossimo tavolo della riforma, insomma, potrebbe finirci il sistema contributivo. E probabilmente non per allargarne le maglie.
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