C’è Ambra Minervini, figlia del magistrato Girolamo ucciso dalle Br a una fermata del bus al Trionfale, mentre andava a lavoro: aveva rifiutato la scorta, per non mettere in pericolo la vita di altre persone. E poi Bruno d’Alfonso, il cui padre Giovanni, appuntato dei carabinieri, perse la vita dopo uno scontro a fuoco coi brigatisti nel 1975. E c’è Luciana Milani, la voce tremante dalla commozione, che ricorda la figlia Valeria Solesin, la ricercatrice 28enne rimasta uccisa nella strage del Bataclan del 2015. Prendono posto sui banchi di solito riservati al governo e raccontano dei loro cari uccisi per mano dei terroristi, di ieri e di oggi. Si celebra così, a Montecitorio, la giornata per la memoria delle vittime del terrorismo. Quarantasette anni dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani, dove Sergio Mattarella in mattinata depone una corona di fiori.
Alla Camera il capo dello Stato siede in prima fila. Accanto a lui i presidenti dei due rami del parlamento, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Poi la premier Giorgia Meloni, le ex terze cariche dello Stato Gianfranco Fini e Luciano Violante, i ministri Tajani, Piantedosi, Crosetto e Valditara. Intorno scranni affollatissimi per l’evento moderato da Bruno Vespa: deputati e senatori (si avvistano Elly Schlein, ricercatissima dagli studenti per un selfie, e Giuseppe Conte), i familiari delle vittime e i ragazzi delle scuole superiori. Che nei loro lavori ricordano Vittorio Bachelet e le vittime della strage di matrice neofascista del treno di Gioia Tauro, nel luglio 1970.
LA POLEMICA
«Per fortuna ci hanno pensato i ragazzi, altrimenti la parola “fascista” non sarebbe mai stata pronunciata durante tutta la cerimonia», affonda il colpo Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980. «Profondamente deluso» perché nella cerimonia non si parla, oltre che della bomba alla stazione del capoluogo emiliano, di piazza Fontana, del treno Italicus e in generale delle vittime dei Nar e del terrorismo nero. «Non è una giornata che gioca a favore dell’onestà intellettuale del governo», attacca Bolognesi.
Una polemica da cui si chiama fuori Meloni. Che in un post sui social, condanna la violenza politica «di qualsiasi colore». Ricorda lo statista Dc ucciso dalle Brigate rosse, la premier. E, nello stesso giorno, l’omicidio di Peppino Impastato da parte di cosa nostra. Anche la sfida lanciata dalla mafia allo Stato fu, in qualche modo, terrorismo. E Moro e Impastato ne furono le vittime: «Due simboli, caduti nel pieno di quegli anni di piombo che hanno segnato l’Italia con il sangue di troppi innocenti», osserva la leader di FdI. Vittime di fronte alle quali «rinnoviamo il nostro impegno a difendere la libertà, la giustizia e la legalità. La loro eredità ci ricorda che l’Italia non si piega davanti a chi semina morte e paura».
La Russa ricorda «tre nomi», quelli di Sergio Ramelli, di Fausto Tinelli e Lorenzo «Iaio» Iannucci: ragazzi appena diciottenni, che militavano su fronti opposti, barbaramente uccisi «soltanto per le proprie idee». E invoca «pacificazione, pietà e rispetto», per loro e per le altre vittime della violenza politica degli anni Settanta. Mentre Fontana mette l’accento sulla necessità di proseguire nella ricerca della verità per i morti senza colpevole, come ha fatto la procura di Milano riaprendo le indagini su Fausto e Iaio: «È dovere delle istituzioni porre in essere ogni azione utile affinché le vittime e i loro familiari ottengano giustizia: il Parlamento c’è».
VALERIA E GLI ALTRI
Silenzio e commozione, infine, per l’intervento della madre di Valeria Solesin. Che riporta lo sguardo sul terrorismo al presente, alle stragi di matrice islamica come l’attacco al Bataclan del novembre 2015. Morirono in 130, quasi tutti ragazzi: Valeria, ricercatrice a Parigi, era tra loro. «Siamo testimoni delle atrocità del mondo, cerchiamo di essere come Valeria ci avrebbe voluti: il suo omicidio non ci deve rendere peggiori», le parole di Luciana Milani. Che ricorda l’impegno della figlia per l’indipendenza e la dignità delle donne: «Voglio fare mio il suo appello – conclude – forza ragazze, al lavoro».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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