Né drammi, né follie. Quando Giancarlo Giorgetti finisce con il far ballare la borsa di Milano, a palazzo Chigi si predica sangue freddo. Quelle snocciolate dal ministro dell’Economia durante un’intervista a Bloomberg infatti, «sono ipotesi». Congetture — è la linea condivisa anche da Giorgia Meloni, ieri impegnata in un faccia a faccia con il presidente della Repubblica del Kyrgyzistan, con gli aggiornamenti sulla polveriera Mediorientale, e in una telefonata con Elly Schlein — che però rientrano in pieno all’interno del mandato di fare «mille proiezioni» prima di licenziare la Finanziaria affidato proprio dalla presidente del Consiglio al suo ministro dell’Economia. Eccetto forse chi a sera ha visto il Ftse Mib cedere l’1,5% in nome del «contributo da parte di tutti» chiesto da Giorgetti, nessuno pare insomma essere balzato su dalla sedia. Il concetto dei «sacrifici» necessari per alimentare la crescita del Paese è stato uno dei punti cardine di alcuni degli ultimi interventi di Meloni, dal forum di Cernobbio a inizio settembre fino all’invito a «tagliare le spese» destinato ai suoi durante il Consiglio dei ministri tenuto appena tre giorni fa. Come per i dicasteri in pratica, la linea di Meloni è e resta quella di sforbiciare «sprechi», «bonus» e «inefficienze».
LE RISORSE
Se è vero che le tasse non piacciono a nessuno tra le categorie chiamate in causa da Giorgetti per eventuali nuove imposte su profitti e ricavi («Individui, ma anche società piccole, medie e grandi»), e pure che da via XX Settembre bollano come «forzature» le interpretazioni che vanno oltre il concordato preventivo e lo «sforzo» chiesto alle imprese più grandi che hanno beneficiato di condizioni favorevoli, lo è soprattutto che innegabilmente «ci sono pochi soldi». E la necessità di individuare risorse adeguate per portare a casa una Manovra che non possa essere considerata un passo indietro rispetto a quella già complessa dello scorso anno, «non consente di escludere nulla». Però, precisano fonti ai vertici dell’esecutivo un po’ più critiche nei confronti delle parole di Giorgetti, «da qui a dire che c’è un fondo di verità nelle parole del ministro ce ne passa».
GLI INTERVENTI
Ad essere rigettata è soprattutto l’idea che possa trattarsi di interventi indiscriminati. «Non ci sarà alcuna sopratassa» è il senso dei ragionamenti fatti dalla premier ai suoi ieri, ogni piccolo movimento sarà mirato e tarato. A meno che, come nel caso della rimodulazione delle accise sui carburanti di cui si sta molto discutendo negli ultimi giorni, non si tratti di una misura tanto ben congegnata quanto inevitabile perché imposta all’Italia dalle raccomandazioni di Bruxelles, dai vincoli del Next Generation Eu o da quelli introdotti dall’esordio del Piano strutturale di bilancio. Un messaggio, questo dell’attenzione riservata ad ogni dettaglio, che è considerato fondamentale attorno a Meloni. In primis perché l’immagine internazionale che la premier ritiene di star donando all’Italia ha necessariamente bisogno che gli indicatori economici evidenzino una situazione ottimistica. In secondo luogo, invece, perché a due anni dall’approdo al governo l’intera coalizione di centrodestra è convinta che tenere alta la fiducia di consumatori e imprenditori sia una priorità assoluta. D’altro canto sul concetto del «fisco amico» la premier e il viceministro Maurizio Leo hanno puntato più volte le proprie fiche. «Non penso e non dirò mai che le tasse sono bellissime» aveva scandito un paio di mesi fa Meloni evocando la famosa e tanto criticata frase di Tommaso Padoa-Schioppa all’epoca ministro dell’Economia, ma il messaggio «che vogliamo dare è semplice, non c’è spazio per chi vuole fare il furbo ma chi è onesto ed è in difficoltà merita di essere aiutato». Esattamente le linee guida che ora la premier chiede di rispettare. Né drammi né follie appunto.
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