11.05.2025
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Technology

per i content creator è sempre più difficile guadagnare


Gioca a Fortnite davanti ai suoi follower – più di 400 mila tra TikTok, YouTube e Twitch — commentando notizie e trend relativi al videogame popolarissimo soprattutto tra i più giovani. Eppure Clint Brantley, da tre anni content creator a tempo pieno, nonostante una media importante di 100mila visualizzazioni a video ha chiuso l’ultimo anno fiscale con un reddito inferiore alla retribuzione media annua dei lavoratori statunitensi, 58.084 dollari. Una cifra ottenuta principalmente grazie alle mance lasciate dai follower (più qualche piccolo accordo di sponsorizzazione) ma che non basta per comperare casa, perché i soldi arrivano a singhiozzo e potrebbero scomparire da un momento all’altro. Altro che yatch, crociere di lusso e ristoranti stellati. Guadagnare un reddito dignitoso come influencer oggi è diventata una sfida. 

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Come sottolinea il Wall Street Journal, lo scorso anno il 48% dei creator digitali ha guadagnato meno di 15mila dollari, mentre solo il 13% sarebbe riuscito a sforare il tetto dei 100mila. Cifre che rendono il sogno di grandi guadagni “facili” grazie ai contenuti digitali sempre più simile a uno dei tanti lavori sotto retribuiti della new economy. Certo il mercato dei content creator, che a livello globale vale 21 miliardi di dollari, rimane in crescita costante anche qui in Italia, dove i professionisti del settore nel 2023 sono 350mila, con un fatturato complessivo di 348 milioni di euro. Il social network più redditizio – spiega in un report DeRev, azienda che si occupa di marketing digitale — è YouTube, dove un contenuto pubblicitario può valere dai 500 ai 35 mila euro. Segue Instagram, con compensi da un centinaio di euro per 10 mila visualizzazioni fino a 75 mila euro per 10 milioni di visite. Indietro TikTok sui compensi per le visualizzazioni minime (50 euro) ma anche lì si può arrivare fino a 75 mila euro a post. Nella classifica degli influencer più pagati in Italia troviamo al primo posto Khaby Lame, 160 milioni di follower e 325mila euro a post. Al secondo posto, Chiara Ferragni, che con un singolo post guadagna circa 95 mila euro. Clio Zammatteo, in arte ClioMakeUp, nel 2022 ha fatturato 11,6 milioni di euro. Questi numeri però fotografano solo una parte di quell’enorme iceberg che è la creator economy, nello specifico la vetta. Guadagnare un reddito dignitoso e costante come creator digitale di media-bassa popolarità (i cosiddetti micro-influencer) sta diventando sempre più difficile: le piattaforme hanno alzato l’asticella sui requisiti per la monetizzazione, mentre i marchi sono più selettivi su ciò che vogliono dagli accordi di sponsorizzazione. Insomma, alla fine anche la bacchetta magica verso una vita da miliardario promessa dalle piattaforme si è trasformata in uno specchio della società: la maggior parte dei content creator guadagna cifre medio-basse, proprio come le persone che svolgono lavori «tradizionali». E solo in pochi raggiungo la vetta di quel 13%, che intanto appare sempre più lontana e irta di ostacoli.

Dietro le quinte, i creator hanno denunciato più volte il rischio di burnout, tanto concreto da spingerli in alcuni casi al suicidio. Per sgomitare in un mercato sempre più affollato e presentarsi in salute al tavolo delle contrattazioni con gli sponsor, gli aspiranti influencer sono costretti a produrre costantemente post sempre più coinvolgenti. E passano così le proprie giornate a pianificare, filmare, fare editing su foto e video, il tutto mantenendo un filo costantemente aperto con la propria community di seguaci. Molti hanno confessato di non aver tempo per fare altro. Come tanti altri liberi professionisti, non ricevono però ferie retribuite né benefit di assistenza sanitaria (un problema enorme negli Stati Uniti), né contributi pensionistici o altri vantaggi che le aziende in genere forniscono ai propri dipendenti. 

A peggiorare ulteriormente la situazione, la prospettiva – sempre più concreta — che TikTok possa chiudere i battenti negli Stati Uniti il prossimo anno, lasciando così 170 milioni di utenti senza un punto di riferimento. A queste problematiche si aggiunge poi la progressiva sfiducia degli utenti. In Italia l’abbiamo visto con il Pandoro-gate, e la crisi del modello Ferragnez. E le polemiche sul caso dell’Estetista Cinica, al secolo Cristina Fogazzi, che ha affittato la Pinacoteca di Brera per 95mila euro: un evento trash, con cena nella storica Biblioteca Braidense. Negli States il colpo al cuore della fanbase è arrivato dal caso Kardashian: la nota influencer è stata multata per 1,26 milioni di dollari dalla Sec per aver pubblicizzato in modo occulto una società di criptovalute, facendone salire il prezzo e consentendole di vendere le proprie quote con profitto, a danno dei follower. Per alcuni sembra un percorso inevitabile, e la strada verso quel 13% più spesso che no segnerebbe l’inizio della fine. «Una volta che i creator iniziano a collaborare con i marchi – commentano gli utenti sul web — non mi fido più dei loro contenuti. Troppi interessi in gioco».

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