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«Per essere competitivi il centrodestra punti su un civico»


CEGLIE MESSAPICA La piazza bianca di Ceglie Messapica dista giusto una ventina di chilometri dal resort Leonardo di Locorotondo, dove Giorgia Meloni ha trascorso gli ultimi giorni di relax prima di rientrare a Roma qualche giorno fa. Ma la soluzione al rebus regionali, per il centrodestra, non è arrivata dai trulli della Valle d’Itria, né dal primo incontro romano dei tre leader di maggioranza ieri a Palazzo Chigi (dove del dossier, assicurano, non si è parlato). E così la premier e i due vice, sul fronte del voto autunnale, continuano a marciare divisi. Sul Veneto, madre di tutte le battaglie, ma anche sulla Puglia. Dove i Fratelli d’Italia vorrebbero un loro uomo, Forza Italia spinge l’azzurro Mauro D’Attis. Mentre Matteo Salvini, per la prima volta, lancia l’idea di un civico. «Conto di avere il candidato il prima possibile», esordisce il leader leghista collegato dal suo ufficio al ministero con la Piazza di Affari italiani («Avrei voluto esserci — scherza — anche perché mi ricordo con piacere la cena eccezionale dopo l’intervista, ma ho appena finito una riunione sul Ponte»). E siccome il centrodestra «si candida per vincere, non per partecipare», ecco l’idea: «Ci sono personalità civiche, senza tessera di partito, che si stanno mettendo a disposizione». Tra le mura dipinte a calce di Ceglie c’è chi avanza il nome del prefetto di Napoli Michele Di Bari, pugliese di nascita con una lunga carriera da servitore dello Stato. Ma si guarderebbe pure al mondo dell’imprenditoria locale. Chissà.

Di certo molto dipende da chi schiererà il centrosinistra: se sarà Decaro, nessuno si fa troppe illusioni. Se invece l’ex sindaco di Bari non sarà della partita, è il ragionamento del centrodestra pugliese, i giochi si riaprono. Anche se FdI non avrebbe rinunciato all’idea di proporre un suo nome. Magari quello del sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, in pole per diventare viceministro, anche lui ospite della kermesse (dalla quale declina ogni responsabilità sulle nomine dei due componenti accusati di posizioni no-vax nel Nitag: una «decisione presa dal ministro nella sua libertà»).

Il capitolo più spinoso però resta quello del Veneto. Salvini parla di «passi avanti». Ma di fatto ribadisce la linea già messa in chiaro dalla Lega: «Nelle Marche c’è un ottimo governatore uscente di FdI, in Calabria un ottimo governatore di FI, in Veneto il buon governo di Zaia non si può discutere». E quindi «conto che tutti possano esprimersi al meglio senza imporre niente a nessuno: c’è spazio per tutti e tre i partiti». Come a dire: guai a chi tocca l’unica regione tra le sette al voto in cui governa il Carroccio. Il rebus, in altre parole, pare ancora lontano dalla soluzione.

LE STOCCATE

Con gli alleati però non mancano le stoccate. E in particolare col leader forzista Antonio Tajani. Che aveva liquidato con poche parole l’affondo di Salvini contro Macron sull’Ucraina («attaccati al tram»), dicendo in sostanza che «la politica estera del governo la facciamo io e Meloni». Un voler marcare il terreno che Salvini non condivide. «Quando di mezzo ci sono la pace e la guerra, non c’è titolarità. Io — replica — sono ministro dei Trasporti, vicepresidente del Consiglio e padre di due figli. E quando un leader continua a dire che siamo pronti a mandare i nostri soldati in Ucraina, noi diciamo no: questo è il tempo della diplomazia». Insomma, rilancia il Capitano leghista, dire no a Macron «penso sia non un mio diritto ma un mio dovere, ed è anche la posizione del governo. Di tutto il governo».

Stesso copione sulla tassazione degli extraprofitti, altro capitolo su cui da giorni continua il botta e risposta. Con Tajani che si dice contrario a «studiare un modo per fare persecuzione delle banche» e Salvini che, collegato con Ceglie, insiste: «Un contributo lo possono dare, anche perché molte pagano le tasse all’estero». Anche qui però nessun allarme: «Con gli alleati una soluzione si trova sempre». Chissà se vale anche per il Veneto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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