23.08.2025
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Politics

«Per difendere Kiev indispensabili armi e intelligence Usa»


Territori e sicurezza. Sono questi i nodi del confronto a distanza fra Trump e Putin da un lato, Zelensky e l’Europa dall’altro. «Trump e Putin si sono sicuramente detti qualcosa che non sappiamo riguardo alla demarcazione territoriale, con confini che sono ancora tutti da disegnare, e allo scambio di territori, che poi non è uno scambio ma è cessione di territori che sono legittimamente ucraini. Sia chiaro che si sta negoziando esclusivamente su territori che sono sotto la giurisdizione di Kiev». Per il generale Leonardo Tricarico, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica e oggi presidente della Fondazione Icsa, si apre adesso una «fase molto confusa», che come secondo scoglio da superare, dopo quello di confini e territori, prevede la messa a punto di «garanzie di sicurezza» per Kiev dopo che l’accordo sarà firmato e i territori ceduti, per evitare che Putin incameri il risultato e poi riparta all’offensiva.

In che senso c’è confusione e qualche punto fermo c’è?

«Prima abbiamo avuto sortite e comportamenti scomposti da parte fra gli altri del presidente francese Macron, adesso si è aggiunta una confusione per così dire più strutturata: è stata infatti invertita la logica che ha sempre guidato i negoziati internazionali. Finora eravamo abituati a vedere capi di Stato incontrarsi per suggellare un lavoro preparatorio frutto di una fitta attività di consultazione e verifica degli sherpa. Qui invece abbiamo due leader che si sono incontrati sulla base di una telefonata nella quale non è chiaro quello che è stato effettivamente detto, e di assunti consolidati sulle rispettive posizioni. Ne sono venute fuori brevi dichiarazioni alla stampa, in larga parte fatte di affermazioni di circostanza».

Il messaggio fondamentale qual è stato?

«Da parte di Putin, la conferma delle sue posizioni negoziali quando ha detto che l’obiettivo è quello di eliminare le radici profonde della guerra. Il che ha richiamato alla mente la denazificazione dell’Ucraina, che detto da lui non è una buona cosa, e poi privare Kiev di vere capacità militari».

È qui che si inserisce la partita della sicurezza per il dopo accordo?

«Sì, che vale per l’Ucraina ma che evoca pure un vecchio leit motiv di Putin riguardo alla sicurezza della Russia. Le ipotesi sono varie. C’è chi dice per esempio che gli americani fornirebbero la copertura aerea e gli europei le truppe sul terreno. Ma si tratta di fughe in avanti improprie. Fa bene perciò Giorgia Meloni a non voler mettere il carro davanti ai buoi e a non voler aprire una discussione che sarebbe prematura su questo».

Intanto, andranno a Washington Zelensky e i leader dei volenterosi.

«Già trovare una visione comune non sarà semplice, perché le sensibilità dei volenterosi sono diverse e a volte anche contrastanti. Pensiamo a come la Russia viene percepita dai Paesi nordici, dall’Ungheria o dall’Italia.»

A chi spettano le decisioni?

«Sicuramente a Zelensky: la posta in gioco riguarda il suo Paese e i sacrifici che dovrà ancora affrontare, sui quali consultare la popolazione. Noi dobbiamo confermare l’aiuto a Zelensky, consigliarlo ma senza imporre o scodellare un piatto confezionato da noi che potrebbe risultargli sgradito. Sarebbe ingeneroso e ingiusto nei confronti dell’Ucraina».

Come si configureranno le garanzie di sicurezza?

«Non c’è da inventare nulla. Sia la Nato sia l’Europa sono basate sulla generosità dei Paesi alleati che fa scattare la solidarietà, anche in armi, nel momento in cui si presenti un’insidia. Se dovesse materializzarsi una minaccia di Putin o un inadempimento rispetto agli accordi presi, dovrà scattare una consultazione e poi una solidarietà generosa di tutti, mettendo a punto una capacità di contrastare la minaccia o l’attualità di un rinnovato attacco russo all’indipendenza dell’Ucraina».

Gli americani saranno disposti a intervenire come alleati? «Direi di sì. Però siamo di fronte a un’altalena, all’imperscrutabilità di un personaggio come Trump. Dovrebbe scattare il meccanismo dell’articolo 5 del Trattato Atlantico, anche verso un Paese che non è Nato come l’Ucraina. Il vero punto debole di questa missione sarà decidere chi la guida. L’Europa non è ancora in grado di gestire una missione così impegnativa. Sarà necessario l’aiuto statunitense, specialmente per la catena di comando e controllo e per l’intelligence».


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