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Pensioni, verso l’abolizione della risoluzione automatica a 67 anni per i dipendenti della Pa: cosa cambia


Angelo Paone, segretario del Dirstat, il sindacato che raccoglie le figure apicali del pubblico impiego, fa sapere che già oggi «il 30 per cento dei dirigenti chiede di restare al proprio posto nella pubblica amministrazione dopo i 67 anni». Pochissimi, vista la rigidità dell’attuale normativa, ci riescono. L’approccio dei dirigenti dovrebbe far ben sperare il governo, che nella prossima manovra si accinge a cancellare la cosiddetta risoluzione automatica. Cioè il “licenziamento” coatto dei dipendenti della Pa, quando raggiungono l’età di ritiro: 67 anni per la pensione vecchiaia, 65 con il regime di anzianità per chi ha 42 anni e 10 mesi di contributi. L’obiettivo dei tecnici del Mef e del ministero del Lavoro che stanno lavorando alla misura è quello di frenare la fuga dal settore pubblico. Al riguardo, secondo Unioncamere da qui al 2024 serviranno almeno 846mila nuovi ingressi.

IL CONFRONTO

Intanto si registra una prima apertura della Cisl. «La proposta può essere interessante nella misura in cui venga lasciata al dipendente la libertà di scegliere», fa sapere il segretario Ignazio Ganga. È scettica Dirstat — «Ci vuole chiarezza e bisogna pensare ai giovani», nota Paone — e si dicono contrarie la Cgil — secondo Enzo Cigna «non è accettabile e comunque riguarderebbe pochissime persone» — e la Uil.

Sul fronte del deficit degli organici come detto, ieri è arrivato un ulteriore campanello d’allarme è arrivato da Unioncamere: nell’ultimo aggiornamento del report “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine” è stato stimato che da qui al 2024 le amministrazioni centrali e locali del Paese avranno bisogno di 846.400 figure in vista dei pensionamenti, proprio per mantenere l’attuale livello delle piante organiche. Numeri spesso insufficienti per garantire una puntuale erogazione dei servizi. Per la precisione, nel prossimo quadriennio, serviranno oltre 250mila unità soltanto nella scuola e nel comparto della formazione, quasi 234mila nella sanità e 362mila negli uffici e agli sportelli degli enti e dell’Inps. Oltre il 91 per cento del totale sarà reclutato con turnover — uno esce e un altro lo sostituisce — in attesa di capire come il governo metterà in pratica i suoi propositi di ampliare gli organici con la leva dei concorsi.

Il governo spera — e non soltanto sul fronte dei dirigenti — di posticipare su base volontaria ogni anno almeno il 30 per cento delle uscite. Soprattutto delle figure con maggiore esperienza. A ben guardare ci potrebbe essere anche un risparmio sul versante pensionistico, ma l’esecutivo garantisce che si vogliono modificare verso l’alto i criteri di uscita. Cioè aumentare l’età pensionistica. In queste ore i tecnici stanno limando la proposta da presentare ai sindacati. Rispetto al passato non si dovrà più fare domanda per provare a mantenere il posto dopo i 67 anni. Non dovrebbero essere previste premialità per chi resta (come i contributi potenziati concessi ai medici che decidono di lavorare fino a 72 anni). Mentre non si esclude di legare la possibilità di rinviare l’uscita al deficit di personale del singolo comparto.

I NUMERI

In questa logica, è facile ipotizzare che potrebbe essere forte il ricorso al rinvio delle pensioni nei Comuni: i sindaci lamentano che tra il 2011 e il 2021 le piante organiche si sono ridotte di 80mila unità tra progettisti, addetti agli sportelli di servizi fondamentali come l’anagrafe o vigili urbani. Nonostante gli ingressi legati al Covid, la sanità ospedaliera lamenta un deficit di almeno 5mila medici e 60mila infermieri. Più in generale, tra i dipendenti che fanno capo ai ministeri servono 40mila dipendenti in più. Tra i dicasteri più in affanno c’è la Giustizia: su quattro addetti ne manca uno, soprattutto tra i cancellieri o le guardie carcerarie. Sarebbero poi necessari in più oltre 2.600 ispettori del lavoro o circa 15mila agenti delle forze dell’ordine. Segnala Unioncamere: «L’analisi dei fabbisogni dei dipendenti pubblici per macro-gruppo professionale evidenzia la prevalente richiesta di figure qualificate e ad elevata specializzazione, che rappresentano oltre il 37 per cento del fabbisogno del settore pubblico nel periodo 2024-2028. Seguono le figure tecniche e gli impiegati, entrambi con un peso del 22».

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