Stop. Nelle intenzioni di Giorgia Meloni il tavolo apparecchiato a palazzo Chigi per accogliere Matteo Salvini e Antonio Tajani non ha un menù solo programmatico, ma pure simbolico. Venerdì la premier vuole far calare il sipario e ripartire su un agosto a suo modo feroce fatto di vannacciani allargamenti a destra, di sfondamenti tajanei al centro e di una sequela infinita di attacchi e difese, da e contro l’opposizione, la stampa e la magistratura.
E se è vero che lo farà già al Consiglio dei ministri che si terrà nei prossimi giorni (con ogni probabilità questo mercoledì) con un discorso utile a fare il punto sulla definizione dell’agenda dell’esecutivo, ai due vicepremier Meloni chiederà soprattutto di limitare gli scontri. «L’unità del centrodestra viene prima di tutto» chiosa uno dei ministri più vicini alla presidente del Consiglio, riassumendo il senso del vertice annunciato da masseria Beneficio. E infatti la premier ha in mente di affrontare i dossier più divisivi per gli alleati, in modo da definirne i margini e lavorare ad un compromesso. Sul capitolo Ius Scholae ad esempio, con Forza Italia che non rinuncia in nome dell’energia rivitalizzante che pare avergli donato e la Lega che invece pensa a come disarticolare proposta e velleità azzurre, Meloni chiederà garanzia di toni più bassi ed iniziative parlamentari che non stressino troppo il rapporto tra gli alleati. Insomma «il punto di sintesi» di cui ha parlato ieri il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara al Meeting di Rimini e già prospettato da Tajani quando ha sottolineato come si tratti di «una nostra visione della società e dell’Italia, non una priorità del governo». Idem per quanto riguarda le riforme, su cui il leader azzurro è tornato ad alzare la voce. «Noi abbiamo detto che prima si fanno i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, in tutte le Regioni, poi si fa l’autonomia» la dichiarazione con cui il vicepremier rimanda a data da destinarsi l’attuazione del progetto del Carroccio. E poi ancora la definizione dei vertici Rai, gli interventi sulle carceri, l’introduzione della Bolkestein per le concessioni balneari e, più in generale, la definizione delle priorità verso cui indirizzare una Manovra che a palazzo Chigi sono convinti essere «complessa».
Su questo ultimo fronte Meloni si aspetta un autunno caldo, potenzialmente bollente. Per raffreddarlo già fa e disfa strategie, ragionando sul come indirizzare meglio risorse ed energie. Se la linea di credito principale sarà aperta nuovamente per il sostegno al reddito e ai salari delle fasce più basse della popolazione, interventi mirati saranno ad esempio destinati alla sburocratizzazione, alla sicurezza e alle periferie. Sull’onda lunga del “modello Caivano” a palazzo Chigi si ragiona su un «piano esteso» che, sfruttando (molto) i fondi di Coesione e (poco) l’agibilità di bilancio, si tradurrà in una serie di interventi nelle periferie più problematiche del Paese, specie a Sud. Tant’è che gli uffici hanno già ricevuto il mandato di elaborare delle soluzioni normative che permettano di imitare il successo dell’operazione portata a termine nel napoletano, nella consapevolezza che quella rapidità è stata in buona parte dovuta all’efficienza di un commissario ad hoc e al fatto che il comune fosse in quel momento Commissariato. Un impegno articolato che passando dalla Pa, guarda al Viminale e alla possibilità di aumentare i presidi territoriali delle forze dell’ordine, anche attingendo a nuove assunzioni.
Tajani: «Vogliamo occupare lo spazio politico che c’è tra Schlein e Meloni»
LA COMMISSIONE
Un progetto su cui la premier coinvolgerà tutto il governo. Condivisione che, al contrario, Meloni non ha alcuna intenzione di mettere in campo quando a inizio novembre dovrà sostituire Raffaele Fitto. In attesa della lettera a Ursula von der Leyen con l’ufficialità dell’investitura che arriverà ad ore, ai vertici del governo si fa il punto sul seggio che sarà lasciato vacante. In mancanza di sostituti a trecentosessanta gradi, la logica dello spacchettamento a tre sottosegretari delle deleghe del ministro (Affari Ue, Pnrr, Coesione e Sud) va per la maggiore. Non solo tra i meloniani che immaginano una transizione soft dato che all’orizzonte c’è il caso Santanché, ma pure tra gli alleati. Sia che Tajani che Salvini guardano al dopo Fitto come un’opportunità per ottenere nuovo spazio all’interno del governo, e si preparano a reclamare più spazio. E questa, senza dubbio, per Meloni non è una priorità.
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