Le “Magnifiche Sette” di Big Tech non convincono gli analisti e i mercati finanziari vanno in tilt. Pesano, tra l’altro, i dubbi di esperti e investitori sul futuro dell’intelligenza artificiale, su cui i colossi della Silicon Valley hanno speso e continuano a spendere con ritorni minimi, in un progetto dal respiro lunghissimo difficile da monetizzare in questa prima fase. Solo nel 2024, le grandi aziende tech hanno aumentato la loro spesa in conto capitale del 50%, portando gli investimenti oltre i 100 miliardi di dollari, mentre si corre per costruire l’infrastruttura che supporterà l’IA di domani. Parallelamente, cresce a Wall Street lo scetticismo riguardo agli scarsi rendimenti di un investimento che non ha precedenti nella storia della Silicon Valley. Quali prospettive si aprono? Ne parliamo con Matteo De Angelis, docente ordinario di Marketing e Web Analytics presso la Luiss Guido Carli.
Alcuni analisti sono spaventati dall’idea che l’intelligenza artificiale possa rivelarsi una bolla. Lei è d’accordo?
«No, non penso sia una bolla. Una bolla per definizione a un certo punto scoppia e finisce. Più che una bolla parliamo di un trend di lungo periodo che ci accompagnerà ancora per molto tempo. L’intelligenza artificiale sta andando avanti per ondate successive: siamo passati dagli algoritmi di raccomandazione ai chatbot agli assistenti virtuali fino all’IA generativa, tutto in un tempo relativamente breve, ma la strada è ancora lunga».
Insomma, parliamo di progetti a lunghissimo termine. Come si fa a tenere buoni gli investitori nel frattempo?
«Attenzione, parliamo di investimenti che avranno alcuni ritorni nel lungo periodo ma altri anche nel breve. Gli investitori si tengono buoni con la diversificazione del portafoglio, e quindi del rischio. Si potrebbe ripartire il rischio in tecnologie o prodotti legati all’intelligenza artificiale con una scadenza a medio e lungo termine e che siano anche monetizzabili».
Questo però attualmente non sta succedendo. Le aziende della Silicon Valley stanno puntando principalmente sull’acquisto di terreni su cui verranno poi costruiti i server che serviranno a far girare l’IA. C’è poco ritorno economico, e questo sta spaventando gli investitori.
«In realtà questo tipo di spesa può diventare anche una forma di garanzia. L’investimento sul mattone e sull’hardware è fondamentale per avere più in là dei software IA che funzionino come si deve. E terreni e server diventeranno così degli asset che aumentano il potere di queste aziende, perché un server può essere usato per tanti scopi diversi, non solo per far girare l’intelligenza artificiale. Per quanto riguarda il panico degli investitori, partiamo dal presupposto che i mercati azionari spesso sono schizofrenici. Non mi spaventa il crollo di oggi, credo che a breve ritornerà tutto nella norma».
Crede che sui mercati abbia influito anche la paura, ancora diffusa, che l’IA possa arrivare un giorno a sostituirci?
«Il dibattito è ancora acceso, soprattutto negli States dove si continua a parlare di “job replacement”, il rimpiazzo dell’uomo con le macchine sul posto di lavoro. Anche questi investimenti così strutturali da parte delle grandi aziende tecnologiche a mio avviso aumentano la paura dei mercati, perché lasciano immaginare agli investitori un mondo autogestito dalle macchine. Secondo me è una paura infondata. L’uomo avrà sempre un ruolo da protagonista. E la differenza la faranno le aziende che sapranno come integrare l’IA con gli obiettivi che intendono perseguire».
Cosa intende?
«Le nuove tecnologie dovranno innestarsi su dei processi aziendali e su una conoscenza del mercato e dei clienti che è tipicamente umana. L’intelligenza artificiale sicuramente rivoluzionerà il modo in cui le aziende interagiranno sia con i dipendenti che con i consumatori finali, ma ci sarà sempre bisogno di una supervisione finale da parte dell’uomo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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