28.11.2025
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Politics

Papa Leone, la missione nel Medio Oriente ferito. Incontro con Erdogan ad Ankara


CITTÀ DEL VATICANO Il Papa americano che sin dall’inizio ha invocato la pace “disarmata e disarmante” mette piede nella regione delle guerre, dei conflitti striscianti e permanenti, portando nella culla del cristianesimo quello che San Paolo predicava alle genti del suo tempo: «siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati, siamo sconvolti, ma non disperati», insistendo quindi «a essere lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera».

Il primo viaggio internazionale di Leone XIV in Turchia e Libano, da oggi al 2 dicembre, parte dall’eredità ricevuta dal suo predecessore per celebrare i 1700 anni del Concilio ecumenico di Nicea, oggi la cittadina turca di Iznik a 130 chilometri da Istanbul, dove l’imperatore Costantino convocò tutti i vescovi di allora per mettere al bando alcune eresie perniciose tipo l’arianesimo e fissare la formula unica del Credo, come ancora oggi, a diciassette secoli di distanza, viene recitata da oltre due miliardi di cristiani nel mondo, cattolici, ortodossi, protestanti, luterani, armeni, copti, evangelici, maroniti, anglicani.

Un viaggio spirituale e religioso ma al tempo stesso inevitabilmente politico e diplomatico, visto che ad Ankara, come primo atto formale della missione, Prevost avrà un bilaterale con uno dei grandi mediatori del momento, il presidente Erdogan impegnato sia sul fronte di Gaza che su quello complicatissimo dell’Ucraina. La pace e la guerra restano però sullo sfondo anche in Libano. Solo quattro giorni fa l’ultimo bombardamento mirato nel quartiere sciita della capitale per eliminare il numero due di Hezbollah.

CELEBRAZIONI

Alla vigilia della partenza Leone XIV ha diffuso una lettera apostolica — “In Unitate Fidei” in cui parla delle celebrazioni di Nicea facendo un parallelo tra i primi secoli del cristianesimo con l’attuale periodo storico pesantemente segnato dalle fratture persino tra le Chiese cristiane (basti pensare alle spaccature nel mondo ortodosso amplificate a dismisura con l’attacco russo in Ucraina). «I tempi del Concilio di Nicea non erano meno turbolenti. Quando esso iniziò, nel 325, erano ancora aperte le ferite delle persecuzioni contro i cristiani. L’Editto di tolleranza di Milano (313) sembrava annunciare l’alba di una nuova epoca di pace. Dopo le minacce esterne, tuttavia, nella Chiesa emersero presto dispute e conflitti».

Niente di nuovo sotto il sole, solo che con il Concilio di Nicea iniziava un processo di romanizzazione dei cristiani e di cristianizzazione dell’impero romano che si sarebbe prolungato nel millennio bizantino e culminato in Occidente con Carlo Magno e il Sacro romano impero. Una questione storica che in Turchia, persino in questi giorni, ha dato origine ad una piccola protesta contro la visita papale da parte di gruppi ultra nazionalisti che contestano un disegno politico egemone da parte dell’Occidente cristiano persino nelle celebrazioni dei 1700 anni di Nicea.

ISLAM

Se il primo giorno in Turchia del Papa è dedicato alle autorità civili e diplomatiche con la visita al mausoleo di Ataturk, dal secondo giorno, tutto si concentrerà sulla sfera religiosa. A Istanbul, invece, Leone XIV andrà alla Moschea Blu, poi nella chiesa armena e firmerà una Dichiarazione congiunta con il Patriarca ortodosso Bartolomeo I. A Beirut, invece, seconda tappa, i riflettori si concentreranno sul futuro di un piccolo paese considerato da sempre un laboratorio di convivenza inter-religiosa in cui ora si sente pesantissima l’influenza dell’Iran. Prima di ripartire per Roma il pontefice andrà per una preghiera silenziosa – senza alcun discorso a latere – sul luogo della devastante esplosione al porto di Beirut che nel 2020 ha causato oltre duecento morti. Anche in Libano il piano religioso è inclinato e si intreccia con quello politico, e forse anche per questo motivo, per farsi capire meglio e da tutti, il Papa ha deciso – rompendo ogni precedente – di parlare sempre solo in francese e inglese, tralasciando l’italiano, lingua usata all’estero da tutti i suoi predecessori. Giovanni Paolo Ii definiva il Libano “un paese messaggio” per la sua capacità di far convivere fedi diverse. Intanto proprio ieri l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Yaron Siderman, è andato all’udienza generale per invitare il Papa in Israele. «Ho condiviso con lui la mia speranza e preghiera che il suo prossimo viaggio in Turchia e Libano possa contribuire a portare pace e stabilità nella regione, ed ho espresso il desiderio di una visita papale in Terra Santa».

Leone XIV userà certamente tutto quello che è in suo potere per rammendare un ordito strappato. E ancora una volta torna in mente San Paolo: «Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti».

Franca Giansoldati

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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