BRUXELLES Viktor Orbán non è tipo che si lascia impressionare facilmente, soprattutto non dai vellutati riti della diplomazia Ue. Più i partner e le istituzioni Ue alzano la voce, irritati per la disinvolta e ambigua tournée diplomatica in solitaria in nome di un’autoproclamata “missione per la pace” in Ucraina, proprio ora che da neppure due settimane l’Ungheria ha il semestre di presidenza del Consiglio Ue, più il premier di Budapest tira dritto, sprezzante, per la propria strada.
Che, dopo averlo portato a Mosca da Vladimir Putin e a Pechino da Xi Jinping, adesso lo conduce dritto alla corte dell’anello mancante dell’ordine illiberale internazionale: Donald Trump. Orbán ha approfittato della trasferta negli Usa per partecipare al summit dei Paesi della Nato che si è concluso ieri a Washington, dove oltretutto funzionari di Paesi Ue avrebbero avuto dei contatti a margine con i consiglieri di Trump. L’ungherese, invece, ha deciso di bypassare il presidente in carica Joe Biden e volare a bordo del suo 606 Dassault Falcon a Mar-a-Lago, la residenza-quartier generale in Florida di Trump, dov’era atteso nella serata di ieri.
Dal tycoon, con cui ha consuetudine e affinità e condivide la retorica sovranista, ha dopotutto preso in prestito, sfidando gli altri governi Ue, pure il motto della presidenza ungherese, cioè “Make Europe Great Again”. La visita non sarebbe stata discussa con la Casa Bianca né (nuovamente) con Bruxelles o le altre capitali. E arriva appena 24 ore dopo il cartellino giallo senza conseguenze concrete sventolato, con toni molto duri, da 25 ambasciatori Ue su 26 (assente dal coro solo la rappresentante della “rossobruna” e alleata Slovacchia), spazientiti per come Orbán stia sfruttando la presidenza, creando confusione, pur di far avanzare la propria agenda parallela in odor di putinismo. «Orbán è il premier dell’Ungheria e fa ciò che ritiene più opportuno. Certo non va da Trump in rappresentanza dell’Unione europea…», ha commentato il vicepremier Antonio Tajani.
Visto, però, che il magiaro non demorde, potrebbe essere necessario rincarare la dose, avrebbero ragionato i leader degli Stati Ue aderenti alla Nato durante capannelli informali nel corso del vertice. Senza azioni eclatanti, ma magari convocando un nuovo “processo” all’Ungheria, ma stavolta a livello politico, oppure (ipotesi al vaglio del servizio diplomatico Ue) rompendo il protocollo e revocando simbolicamente l’organizzazione a Budapest della riunione informale dei ministri degli Esteri e della Difesa, in programma a fine agosto, nome in codice Gymnich, da trasformare in un vero e proprio Consiglio Esteri da tenersi, quindi, a Bruxelles. I possibili seguiti, che non si spingerebbero fino a domandare una fine anticipata del semestre Ue, potrebbero essere affidati a una lettera congiunta firmata ai più alti livelli per esprimere indignazione e mandare un quasi-ultimatum. Cioè, intanto, uno stop senza mezzi termini alle visite che non rappresentano in alcun modo l’Ue. Non che Orbán questo lo abbia mai rivendicato: Budapest, formalmente, riconosce che si tratta di un’iniziativa autonoma dell’Ungheria, ma al tempo stesso sfrutta tutti i margini di fraintendimento offerti dalla circostanza, come ad esempio la presenza del logo del semestre nelle foto e nei video diffusi sui social network: ultimo in ordine di tempo, quello del bilaterale americano con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ritenuto «un partner importante della nostra missione di pace», a capo di un Paese che è anche «l’unico ad aver mediato con successo tra le parti in conflitto nella guerra Russia-Ucraina» (riferimento agli accordi sul passaggio dei carichi di grano nel Mar Nero).
LE CONTESTAZIONI
Il dato, però, non sarebbe solo politico; per il servizio legale del Consiglio, infatti, nella condotta di Orbán si può ravvisare una violazione dei Trattati, una lettura in punto di diritto sposata in particolare da quegli Stati più oltranzisti, come la Polonia: tutti i Paesi Ue, infatti, sono tenuti «al principio della leale cooperazione», mentre la presidenza a rotazione ha solo «un ruolo limitato nella rappresentanza esterna dell’Ue». Formulazioni ovattate che potrebbero essere largamente insufficienti a fermare l’ungherese. A cui ieri non le ha mandate a dire, da Washington, il leader ucraino Volodymyr Zelensky, che il 2 luglio aveva ricevuto Orbán a Kiev per l’inizio del semestre: «Non sapevo che, dopo, sarebbe andato da Putin, in Cina o da Trump. Non tutti i leader possono mediare; per farlo serve avere un certo potere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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