All’ingresso di Viale Mazzini, nel cortile ci sono a sinistra la scultura del cavallo morente e a destra la panchina rossa che testimonia la lotta alla violenza contro le donne. «Adesso», si sente dire nei rapidi conciliaboli davanti alla panchina, «la violenza è contro di noi. Siamo un migliaio di dipendenti e non sappiamo più chi ci comanda e quale sarà il nostro futuro». Nel quartier generale della Rai, non si fa che ripetere, nei corridoi, nelle stanze di vertice, alle macchinette del caffè, sul panoramicissimo bar dell’ottavo piano e anche al Settimo Piano che è mezzo abbandonato da quando non c’è più la presidente Soldi che si è sfilata da questo contesto triste, solitario y forse final, non si parla d’altro: «Da fine maggio è scaduto il Cda, ed è arrivato il buio».
LE CHIAMATE
Quelli di destra accusano la sinistra d’irresponsabilità perché ha scatenato l’Aventino sulle nomine bloccando l’azienda e chiamano i big, ma anche i peones, dei partiti di governo e dicono loro: «Ma come è possibile che non siamo capaci di affermare il diritto secondo cui quando cambia un governo cambia anche la guida della Ri?». Quelli di sinistra chiamano a loro volta i politici di riferimento, tra Nazareno e commissione di Vigilanza Rai, tra via dei Campo Marzio (sede stellata) e casa Conte a Fontanella Borghese (a volte lo cercano pure nell’albergo della fidanzata, Olivia, al Plaza), e si compiacciono: «Bravi, state fermando TeleMeloni!». Se poi sarà fermata davvero si vedrà, perché è fissato per il 26 settembre, dopo tanti rinvii, il voto per eleggere nelle Camere i 4 consiglieri che spettano ai partiti. Ma le opposizioni potrebbero fare l’Aventino anche lì, oltre che in Vigilanza dove mancano i voti per Simona Agnes come presidente Rai.
Ma intanto il viaggio nello sconforto radio-televisivo non può che prevedere una tappa alla mensa di Saxa Rubra, dove un capo redattore importante spiega ai colleghi: «Una via d’uscita c’è». I commensali fermano le forchette e le mascelle, tendono le orecchie, e lui che è ben introdotto nel centrodestra: «La nostra speranza si chiama M5S. Se i contiani vengono coinvolti in Vigilanza nel voto di una figura bipartisan, e la Lega sta lavorando a questo, si supera lo stallo». Ovvero: mai sottovalutare l’antico asse Conte-Salvini. Salvini otterrebbe, nel revival giallo-verde, un presidente o una presidente di garanzia ma in buoni rapporti con il Carroccio e Conte, sbloccando i voti sulla presidenza, incasserebbe una direzione di peso, si parla di RaiNews, e un direttore generale (potrebbe anche essere Roberto Sergio). Ma per ora, chiacchiere su chiacchiere: la realtà è che l’azienda, in mancanza di certezze politiche arranca (va completato il piano industriale, i produttori dell’audiovisivo non sanno con chi dovranno parlare, vanno fatti i palinsesti della prossima stagione e dunque pianificati gli incassi pubblicitari), e l’ad Sergio fa quel che può per mandarla avanti, mentre il dg Giampaolo Rossi che dovrebbe subentrargli scalda i motori (ma quando funzioneranno a tutta velocità?). Nel frattempo, non dipende solo dalla Meloni sbrogliare questa matassa, anzi questa melassa. Al sesto piano di Mazzini, ci sono gli uffici finanziari, cioè il ministero dell’economia del servizio pubblico. Il direttore si chiama Brancadoro. Quando passa per i corridoi, tutti vorrebbero chiedergli: «Direttore, che fine facciamo?». Non lo sa neanche lui. Guarda negli occhi i passanti e allarga le braccia sconsolato prima ancora che quelli si esprimano.
IL GRANDE BOH
Rieccoci a Saxa. Due direttori di testata sono circondati davanti al caffè post-prandiale nel bar di fronte alla palazzina del Tg1. «Diretto’, che cosa si dice a Mazzini?». Risposta: «Io chiamo ma lì i telefoni tacciono». «Diretto’, che cosa si dice a Chigi?». Risposta: «Beato chi lo sa». Intanto, a Mazzini, Sergio garantisce la continuità aziendale (ogni tanto esce dalla sua stanza e sparge ottimismo da buon democristiano secondo cui tutto si aggiusta e guai a drammatizzare) e Rossi garantisce l’innovazione (e la prepara chiuso nella sua stanza, lavorando senza sosta). Ma quando ci sarà la staffetta? Ci si sente in un limbo. «No, scriva pure — dicono al Tg2, e rieccoci a Saxa — che siamo all’8 settembre». La morte della patria Rai? Si procede con un occhio al gossip (del tipo: «Ma FdI si prenderà la TgR a scapito della Lega?») e con un occhio alla politica. C’è chi prova da Saxa a chiamare direttamente la Schlein, ma niente. Chi si accontenta di Alivernini, il suo portavoce, ma boh. La concessione di una mezza sillaba da parte di Alessandro Morelli, plenipotenziario di Salvini sulla Rai, varrebbe per i sonnambuli di Saxa più della realizzazione di uno scoop. del tipo: ecco le prove che Putin ama Zelensky.
Fioccano le scommesse davanti alle macchinette del caffè: «Il nuovo cda arriva a ottobre», «Macché, nella tarda primavera, dopo che sarà entrato in vigore il Freedom Act Ue». «Il Freedom che?». Nelle redazioni viene studiato il documento europeo («Ma non c’è una traduzione in italiano di sto’ Freedom?») che dice che il servizio pubblico non deve essere più governato dal governo, e viene compulsato in contemporanea il testo delle opposizioni elaborato da Stefano Graziano, l’uomo del Pd che sta facendo traballare la maggioranza di governo in asse con Barbara Floridia, presidente M5S in Vigilanza. Nell’ex RaiTre (ora ci sono le direzioni tematiche), si svolge questa scenetta: «Ma tu lo conosci Graziano? Perché non lo chiamiamo insieme?». Soprattutto, da Mazzini e da Saxa, si vorrebbe (e qualcuno ci riesce) chiamare Meloni. A decidere dev’essere lei, ma al momento sembra avere altre priorità. Le telefonate dei Fratelli di Rai che le arrivano dicono questo: «Giorgia, non ti scordar di noi!».
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