L’Italia deve «aumentare il tasso e l’intensità della ristrutturazione degli edifici, in particolare quelli con le prestazioni energetiche peggiori». La direttiva “case green” — la riforma sul miglioramento delle prestazioni energetiche del settore immobiliare che tanta battaglia e tante controversie ha suscitato nel nostro Paese — ormai è entrata in vigore, ma nell’attesa del suo recepimento da parte dei 27 Stati Ue la Commissione torna sul tema dell’edilizia sostenibile nel suo report annuale sullo stato dell’Unione dell’energia, presentato ieri a Bruxelles. Nel capitolo dedicato al nostro Paese, il documento fa un bilancio dei consumi energetici (l’80% del totale, si legge, è rappresentato da riscaldamento e raffreddamento) e sottolinea l’«importanza» di accelerare sul fronte delle ristrutturazioni con l’obiettivo di migliorare la classificazione del parco immobiliare tricolore, citando in particolare il fatto che «nel 2023, il 4,1% della popolazione italiana ha avuto difficoltà a pagare le bollette, mentre il 9,5% non era in grado di scaldare la casa durante l’inverno; valori in aumento rispetto al 2021».
IN SALITA
Per sostenere i costi legati al miglioramento delle prestazioni energetiche degli immobili, ricorda il report, il Pnrr italiano ha già previsto 21,3 miliardi di euro, mentre fino a 7,8 aggiuntivi potrebbero liberarsi tra poco più di un anno, in seguito alla presentazione del Piano nazionale sociale per il clima, strumentale per accedere al nuovo fondo Ue che tra il 2026 e il 2032 sosterrà, tra le altre cose, la ristrutturazione degli alloggi sociali. All’Italia andrebbe il 10,8 per cento del contributo totale.
LO SCHEMA
Ma sul fronte “green” ieri sono arrivate anche altre bacchettate. Non all’indirizzo dell’Italia, stavolta, ma della stessa Commissione. La Corte dei Conti Ue ha pubblicato una relazione dettagliata in cui critica il Recovery Plan dell’Ue, che non sarebbe così verde come dichiarato. All’azione per il clima è dedicato il 37% dei fondi di Next Generation EU, una somma che di recente l’esecutivo Ue ha rivisto al rialzo, stimando addirittura un 43%, pari a 275 miliardi di euro mobilitati a sostegno della transizione ecologica in tutta l’Unione. La magistratura contabile con sede in Lussemburgo non è, però, d’accordo: i contributi, scrive nell’audit, sarebbero «sovrastimati di almeno 34,5 miliardi di euro» e presentano «ulteriori problematiche», dagli «obiettivi vaghi e approssimativi alle discrepanze tra la pianificazione e la pratica», fino alla stessa compatibilità ambientale di alcuni progetti etichettati come “green”. Non ci sta, pur se con garbo istituzionale, la Commissione, che si difende dalle accuse: «Le misure ammontano al 43% dei fondi totali impegnati nei piani nazionali, seguendo la metodologia (di calcolo, ndr) prescritta dal regolamento Pnrr», e non «le metodologie alternative che la Corte dei Conti potrebbe preferire vedere nella legislazione futura».
IL PERCORSO
Intanto, a cavallo tra transizione verde e tensioni commerciali, durante la sua visita di Stato in Cina il premier spagnolo Pedro Sánchez ha invitato alla prudenza rispetto all’imposizione, che scatterebbe a novembre, di dazi fino a oltre il 35% sulle auto elettriche importate dalla Cina: serve trovare un «compromesso», ha dichiarato, prima di andare allo scontro frontale con Pechino. In assenza di una fumata bianca nel negoziato, il mese prossimo i governi dei 27 voteranno sull’applicazione dei prelievi: per bocciare l’offensiva commerciale serve la maggioranza qualificata (almeno 15 Stati, in rappresentanza come minimo del 65% della popolazione Ue).
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