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«Opposizioni sconfitte, il Paese reale è con noi»


«Il referendum? Lo hanno usato come una clava per colpirci, trasformandolo in un potenziale plebiscito sul governo. È tornato indietro come un boomerang: si è trasformato in un referendum sulle opposizioni e ne sono uscite con le ossa rotte. Volevano cadessi io, son caduti loro». È la lettura che Giorgia Meloni consegna ai fedelissimi nelle ore in cui appare evidente che la missione quorum non solo è fallita ma è affondata malamente, attestandosi appena sopra il 30%.

Referendum, il quesito sulla cittadinanza è quello che spariglia: ecco come è nato il risultato inaspettato

Referendum, Meloni guarda avanti

La premier sposa ufficialmente la linea del silenzio: lavora a Palazzo Chigi fino al tardo pomeriggio e non lascia trapelare nessun commento ufficiale a quella che considera «una batosta» senza se e senza ma. Eppure lascia che a parlare siano altri: i due vicepremier, il presidente del Senato Ignazio La Russa, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, suo fedelissimo e uomo ombra. Ma al telefono e via whatsapp – soprattutto sulla rotta Palazzo Chigi-via della Scrofa – non lesina commenti e battute al vetriolo. Soprattutto, in lei e in Fdi è forte la convinzione che l’opposizione non abbia più il polso del paese reale. «Fanno la rivolta contro il dl sicurezza mentre i cittadini chiedono più sicurezza – osserva la presidente del Consiglio coi suoi – chiedono di tornare alle vecchie regole sul lavoro mentre i dati sull’occupazione segnano numeri record. Vivono in una bolla, nei salotti in zona Ztl dove la vita reale non ha dimora». E così se ieri ha deciso di tacere, c’è da scommettere che, appena si presenterà l’occasione, Meloni si toglierà il sassolino dalla scarpa colpendo durissimo.

IL TONFO SULLA CITTADINANZA

Anche perché le analisi dei numeri sono, a suo avviso, implacabili. Un dato su tutti: il referendum sulle trivelle del 2016, che non aveva dietro un vasto fronte del sì, arrivò a superare il 31% dei voti. Stavolta, nonostante le forze in campo contassero quasi tutti i partiti di minoranza più la Cgil, ci si è attestati al di sotto, si è fatto peggio. «Hanno aizzato il mondo contro Meloni ma non è bastato, è venuto giù il loro», commenta Giovanni Donzelli serafico. Ma è il quesito sulla cittadinanza la vera cartina di tornasole. Doveva essere il cavallo di Troia capace di mobilitare l’elettorato d’opinione, ha incassato un numero di sì di 20 punti inferiore alle consultazioni sul lavoro. Una débâcle, la conferma «che il Pd e gli altri hanno smarrito il senso della realtà». Donzelli, a Lampedusa con una delegazione Fdi che vede in squadra anche Arianna Meloni, guarda ai numeri e regola i conti. Insomma, non la tocca piano. «Il disumano governo Meloni — dice al Messaggero mentre visita l’hotspot di confine — accoglie i migranti civilmente, mentre coloro che dicono di avere a cuore le loro sorti li trattavano in modo disumano. Anche le forze dell’ordine ci hanno confermato che le scene vergognose che abbiamo visto in passato, oggi non si ripetono più. I migranti arrivano e nell’arco di 24/48 ore vengono ridistribuiti sul territorio. La regia è affidata alla Cri, non fanno più affari le cooperative rosse. Chi è il cattivo e chi è il buono? I cittadini la loro risposta l’hanno data forte e chiara».

Meloni guarda avanti, alle elezioni politiche del 2027, mentre accarezza l’idea di poter arrivare a fine corsa con la sua squadra, senza rimpasti né tantomeno ribaltoni. “L’avviso di sfratto” annunciato dai dem non è arrivato, al contrario è giunta quella che suona come una conferma del suo operato. «Calma e gesso», va ripetendo come un mantra. All’orizzonte lo snodo delle regionali d’autunno. La strada, lì, è tutta in salita, anche per questo la premier ha già messo le mani avanti: il voto in Campania, Puglia, Toscana e compagnia non inciderà sulla tenuta del governo. Meloni punta ad altro. Il 2027 è nel mirino da un pezzo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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