«Quella nave non aveva falle! Chiedo l’assoluzione, il fatto non sussiste». Palermo, esterno giorno. Le casse piazzate sotto le palme di Piazza Politeama sparano in tempo reale a tutto volume la voce di Giulia Bongiorno. Che sei chilometri più in là, nell’aula bunker del carcere Pagliarelli, sta per concludere la lunga arringa difensiva del suo assistito, Matteo Salvini. Imputato a Palermo con l’accusa di sequestro di persona per aver impedito lo sbarco dei 147 migranti della Open Arms nell’agosto 2019, quando era a capo del Viminale.
Così alle dieci del mattino il leader della Lega è alla sbarra mentre i suoi si radunano in un angolo della mega piazza palermitana, mobilitati per fare quadrato attorno al segretario. Si indossano magliette con la faccia del vicepremier in versione «ricercato», si srotola lo striscione per la foto di gruppo: «Difendere i confini non è reato». Dopo lo scatto, via con il coro: «Matteo, Matteo!». Nino Germanà, senatore messinese del Carroccio e regista del sit-in, è raggiante: «Più di cento parlamentari, ministri e consiglieri regionali uniti per portare solidarietà al nostro leader. Un evento che non ha precedenti nella storia!».
IL FRENO
Il colpo d’occhio per la verità non aiuta. Perché lo spazio è enorme e riempirlo con circa duecento presenze, militanti inclusi è impresa ardua. Nessuno però si azzarda a parlare di flop. Anzi: «Non avevamo convocato un comizio ma una testimonianza silenziosa», spiegano dall’organizzazione, «ed è stato un successo». Del resto negli ultimi giorni da via Bellerio avevano deciso di tirare parecchio il freno sull’evento. Un po’ per non prestare troppo il fianco alle critiche delle opposizioni, che comunque piovono copiose («Vergognoso che i ministri scendano in piazza contro la magistratura», va giù dura Elly Schlein). Un po’ per evitare l’immagine di mezzo governo in protesta contro i giudici palermitani. Riposta nel cassetto per la stessa ragione pure l’idea del flash mob davanti al carcere: meglio volantinare ai gazebo e raccogliere le firme a sostegno del Capitano a processo.
E così ecco i ministri dell’Istruzione Giuseppe Valditara («Inopportuna la nostra presenza qui? Sono un cittadino libero che va dove ritiene di andare, la nostra solidarietà è doverosa») e degli Affari Regionali Roberto Calderoli («Salvini andrebbe premiato, non punito»). Il sottosegretario di Palazzo Chigi Alessandro Morelli, quello dell’Interno Nicola Molteni e del Mef Federico Freni sfilano insieme alle truppe di Camera e Senato e ai consiglieri regionali. C’è chi arriva da Bruxelles, come Anna Cisint («Sono stati i comunisti a mandarlo a processo», attacca), chi dalla Toscana, qualcuno dalla Campania. Assente ed era noto Roberto Vannacci, così come non si avvista la delegazione di sovranisti Ue di cui pure si vociferava. Viktor Orban però non manca di far sentire la sua vicinanza: «Siamo con te, amico mio», twitta il premier ungherese postando una foto del capo della Lega in aula: «Salvini merita una medaglia per aver difeso l’Europa».
E Giancarlo Giorgetti? Eccolo che arriva, per ultimo, il titolare dell’Economia, dopo aver saltato pure la cena della vigilia a Mondello per impegni ministeriali. Il tempo di uno scatto di gruppo un altro e via, inseguito dalle telecamere il numero uno di via XX Settembre s’infila in un bar sulla piazza. «Eh, io devo lavorare», scherza (ma neanche troppo) il responsabile della Manovra. «Sono qui perché all’epoca dei fatti ero al governo con Salvini e perché sono della Lega. E ho detto tutto», è il massimo che concede. I cronisti insistono: meglio qui o al tavolo della legge di Bilancio? «No, meglio qui», sorride lui prima di attaccarsi al telefono. Qualcuno lo raggiunge al tavolino e gli butta lì un paio di proposte sulla Manovra. Tipo il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, che ne approfitta per lanciare «un paio di idee sulle pensioni…». Con successo? Chissà.
In piazza nel frattempo giunge la notizia che anche alla pm Giorgia Righi, una dei magistrati dell’accusa di Open Arms, è stata assegnata la scorta per le minacce ricevute sui social. Gian Marco Centinaio, anche lui sotto tutela, non lesina la solidarietà. Ma l’Anm ci salta su e punge: «Se intorno al processo si crea un clima di tensione mediatica e un’aura di sospetto, gli effetti possono anche essere questi». Al sindacato dei magistrati replica Andrea Crippa, fedele al ruolo di poliziotto cattivo del Carroccio: «L’appello alla saggezza dell’Anm? Un’autocritica che accogliamo con soddisfazione. Quando la sinistra scese in piazza contro la condanna di Mimmo Lucano rincara non intervennero». Giorgetti nel frattempo dribbla le telecamere e s’infila in una cioccolateria. Tempo un quarto d’ora sale in auto, diretto all’aeroporto. In piazza si è fatta ora di pranzo: spuntano i trolley, si arrotolano gli striscioni. Salvini è ancora in aula, ma i suoi non temono l’eventuale condanna. Germanà, il padrone di casa intento a smontare i gazebo, la prende con filosofia: «Paura? Mai: stamane portava diluvio, invece c’è il sole… Finirà così anche per Matteo».
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