A ognuno un pezzo di talare. La tirano ora dolcemente, ora strattonandola verso i propri scranni parlamentari. Si scopre così, nel giorno del ricordo nell’aula di Montecitorio, che c’è stato un papa Francesco per tutti i credi e le stagioni politiche. Ostinato pacifista e antibellicista, difensore degli ultimi e dei poveri, alfiere dei diritti e insieme fustigatore dell’aborto che la legge italiana riconosce tale. Pro-migranti e pro-confini e via dicendo.
C’è il pienone nell’emiciclo della Camera e a tratti si respira sincera commozione fra i banchi di onorevoli e ministri presenti in grande schiera per l’occasione, in tanti distratti dagli smartphone. Ma il richiamo della foresta è troppo forte perché uno ad uno i leader politici che prendono la parola non tentino, magari con le migliori intenzioni, di mettere il cappello su un pezzo del lungo pontificato francescano. Chi più chi meno. Bisogna zoomare sul volto di Giorgia Meloni — rosso, rosso pompeiano, viola, per citare il grande Villaggio — mentre Elly Schlein si lancia in un’inattesa arringa politica, nel pieno della commemorazione.
Ed ecco la premier scurirsi, mani sul volto, occhi che cercano i due vice Salvini e Tajani al suo fianco altrettanto attoniti, mentre l’arcirivale dem coglie la palla al balzo e spiega che Bergoglio «non merita l’ipocrisia di chi deporta migranti, nega l’emergenza climatica e nega le cure a chi non se le può permettere». Per poi ricordare a scanso di equivoci, lo sguardo rivolto ai banchi del governo, che ci si trova «nel cuore delle istituzioni della Repubblica laica e antifascista».
Per un attimo l’aura immacolata si spezza come la tregua politica nel momento del ricordo. Dai banchi di Fratelli d’Italia sale un brusio, mani che battono nervose sui banchi, «l’ha fatto davvero, anche oggi?!». Meloni si gira e fa un gesto con la mano. Come a dire: calma, fatela finire. È lei la prima e di fatto l’unica del centrodestra a mimare un timido applauso quando Schlein finisce il discorso. Poi ascolta assorta gli altri interventi. Sorride a Matteo Renzi, mentre l’ex premier riavvolge il rullino degli incontri con il papa di Buenos Aires, racconta aneddoti in cui evidentemente anche la premier si rivede, «aveva un caratterino…».
Il senatore di Rignano si scaglia contro i «farisei» nel tempio di Montecitorio e chi cerca oggi di «accaparrarsi un pezzettino dell’eredità» di Francesco. Tentazione in verità che non risparmia quasi nessuno. Sicché Conte il pacifista, l’alfiere del reddito di cittadinanza racconta un «papa scomodo, tenacemente schierato contro ogni guerra» e a difesa dei più deboli perché «ai poveri di oggi non si perdona neppure la loro stessa povertà».
Mentre da Forza Italia Maurizio Gasparri — che non resiste a tirare una stoccata postuma a Schlein, «avremo modo di parlare in altra sede di tante ipocrisie…» — ricorda le azzurre sinergie con il Santo Padre scomparso lunedì, «ci ritroviamo nelle sue posizioni sulla famiglia». E se la leghista cattolica e conservatrice Simonetta Matone parla di un pontificato di «luci e ombre» non perde comunque l’occasione di rispolverare un Francesco quasi leghista sui temi etici, le «durissime parole sull’aborto, sorprendenti e addirittura brutali sull’omosessualità».
LE BANDIERINE
Un ping pong tra memoria e bandierine che va avanti di gruppo in gruppo, il Parlamento che si riscopre francescano della prima ora, a modo suo. C’è chi prova a riportare su un altro piano il discorso. Come il cattolico Maurizio Lupi, capo di Noi Moderati, convinto che sia «superfluo discutere se il papa sia stato progressista o conservatore, perché è nella natura della Chiesa essere entrambe» (e poco dopo Renzi cita Don Giussani, “scippando” all’ex ministro, ciellino, il suo riferimento).
O ancora Galeazzo Bignami, capogruppo alla Camera di FdI: «Il Papa non è di una parte, non segue schemi politici». Meloni in chiusura sceglie il registro personale, si tiene distante dalla politica pur rivendicando un feeling con il papa venuto dalla fine del mondo. In mano sfoglia lo stesso quadernino verde che le ha fatto compagnia nello Studio Ovale con Trump. All’inizio di una delle più lunghe settimane della sua vita.
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