«L’azione israeliana è potenzialmente risolutiva rispetto al programma nucleare iraniano», sostiene l’ambasciatore Stefano Stefanini, consigliere diplomatico dell’ex presidente Napolitano e già rappresentante d’Italia presso la Nato. «Ma – precisa — non per effetto dell’intervento di un solo giorno. Sarà risolutiva solo se, come ha detto Netanyahu, continuerà finché sarà necessario e sarà un’azione sostenuta e non estemporanea. La vera domanda è un’altra».
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Quale?
«Se gli israeliani riusciranno a colpire in profondità. Se avranno la capacità di penetrare nei bunker, soprattutto a Fordo. Quel sito è uno dei nodi più protetti del programma. Non sappiamo se Israele abbia o no i mezzi per arrivare fin lì. Ma si può anche immaginare una distruzione attorno, tale da rendere comunque inaccessibili i siti di arricchimento. In prospettiva, à la guerre comme à la guerre, non escluderei che gli Stati Uniti finiscano col fornire a Israele bombe di profondità. Per ora restano alla finestra. Ma se lo stallo persiste, saranno spinti a coinvolgersi: non possono permettere che Israele fallisca nell’obiettivo di distruggere il nucleare iraniano».
Quindi l’obiettivo è chiaro?
«Sì. Eliminare la minaccia atomica. Tutto il resto, cioè colpire scienziati, centri di comando, strutture militari è un corollario. Israele punta a tagliare le gambe al programma nucleare. Il problema è che l’Iran si è dotato di un sistema di protezione molto sofisticato. Fordo ancora non è stato attaccato, ed è sepolto sotto una montagna. Non sappiamo se Israele possa colpirlo nel punto esatto in cui si fa l’arricchimento. Ma sappiamo che farà di tutto per impedire che Teheran ottenga l’arma atomica. Quello è il cuore del bersaglio».
Era davvero necessaria questa azione?
«Per Netanyahu, sì. Non ha mai creduto nella soluzione diplomatica che inducesse l’Iran a rinunciare al programma o a mantenere l’arricchimento sotto la soglia critica del 3,67%. E i fatti lo stanno confermando. Secondo l’ultima statistica dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica che è stata appena pubblicata, l’Iran ha accumulato 500 kg di uranio arricchito quasi al 90%. Non è una preoccupazione inventata. Da lì al 100% per un ordigno nucleare, il salto è questione di settimane. Con quel quantitativo si possono costruire 6 bombe. Per rendere operativi missili o aerei in grado di trasportarle, serviranno alcuni mesi. Ma la prospettiva è concreta».
E gli Stati Uniti? Puntavano ancora sull’accordo…
«Ancora ieri, Trump diceva “siamo vicini all’accordo”. Nessuno sa cosa si siano detti Israele e Stati Uniti in queste ore. Ma mi sembra chiaro che ieri non ci siano state telefonate fra Trump e Netanyahu. Gli Stati Uniti erano informati, secondo me. Erano già in allarme, avevano fatto allontanare il personale non essenziale e le famiglie dalle ambasciate in Iraq, Kuwait e Bahrein. Considerando quanto Israele dipenda dalle forniture militari Usa, è improbabile che l’attacco sia stato lanciato senza informarli prima. Forse con poche ore di preavviso. Ma senza chiedere né ricevere autorizzazione. È stato un atto unilaterale, non una sorpresa».
Come ha reagito Trump?
«Fino a poche ore prima invitava Israele ad aspettare almeno la sessione negoziale prevista per domenica, poi si è limitato a dire: “L’Iran non deve avere l’arma atomica”. A suo modo, un avallo indiretto. Se per impedire è che Teheran diventi una potenza nucleare l’unico mezzo è l’intervento di Israele, allora ben venga. Non c’è partecipazione diretta né supporto logistico. È un’azione condotta con mezzi e capacità israeliane. Ma alcune delle armi usate provengono dagli Stati Uniti. E di fronte a una vendetta iraniana, come Khamenei ha giurato che ci sarà in termini tragici, non dovrà stupire che gli USA aiutino Israele nella difesa. L’hanno già fatto l’anno scorso, potrebbero rifarlo».
Che ruolo ha la Russia in tutto questo?
«Non siamo in presenza, almeno formalmente, di un patto leonino fra Putin e Trump. Ma nei fatti la Russia, pur di mantenere un buon rapporto con gli Stati Uniti in cui non subisce sanzioni e anzi beneficia del blocco delle iniziative del G7, finisce per non interferisce nel Medio Oriente, e lascia che gli americani si regolino con Israele secondo logiche proprie».
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