Il castigamatti del Vaticano ha colpito ancora. Stavolta l’implacabile Carlo Maria Viganò — ex nunzio apostolico da un mese scomunicato e considerato scismatico — se la prende con «don Matteo», il popolare cardinale di Bologna, attraverso una lunghissima lettera aperta tradotta e diffusa in diverse lingue in cui elenca per filo e per segno quelle incoerenze che a suo dire si sarebbero palesate in questi anni, soprattutto nella diocesi bolognese.
Viganò che in passato ha polemizzato ferocemente con il Papa per la drammatica vicenda del cardinale pedofilo McCarrick, espulso dal collegio cardinalizio e dal sacerdozio con evidente ritardo solo perchè – a detta dell’ex nunzio negli Usa – era considerato un amico «del Gesuita Argentino», pare abbia inaugurato una nuova campagna mediatica tesa a demolire i candidati al papato, cominciando proprio da Zuppi, che sarebbero portatori di una visione confusionaria del Magistero. Praticamente un castigamatti al quale non sfugge nulla e prosegue il suo cammino come un carro armato.
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IL CASSERO
La lettera aperta inizia con un «Caro Don Matteo». Viganò spiega di non voler usare il termine ‘Eminenza’ per «non appesantire di trionfalismo preconciliare quell’immagine dimessa e modesta che tanto scrupolosamente Ella ha creato di sé. Essere eminenti — si legge — presuppone infatti una posizione di superiorità e di responsabilità, dinanzi a Dio e alla comunità rispetto agli altri, che Le si riconoscono gerarchicamente inferiori. Credo quindi di farLe cosa gradita rivolgendomi a Lei come farei con il mio idraulico o con l’impiegato delle Poste: l’abbigliamento e l’eloquio, più o meno, sono gli stessi». Contestando poi a Zuppi di «atteggiarsi all’ultimo degli ultimi» salvo poi sfruttare mediaticamente un clichè «di gran moda».
MADONNA DI SAN LUCA
Viganò contesta anche a Zuppi di frequentare i luoghi della gauche caviar bolognese («ricchi radicali rigorosamente di sinistra che vivono in lussuosi appartamenti del centro, lasciando ai comuni mortali le periferie esistenziali dei condomini popolari di via Stalingrado, dove essere un operaio e avere una famiglia normale è più problematico che fare ladrag queen al Cassero»), di parlare di accoglienza alimentando «un lucroso business foraggiato dall’Italia e dall’Unione Europea» ignorando che le vie del centro di Bologna la sera sono piene di sbandati e «delinquenti che tengono in ostaggio la città di cui Ella è arcivescovo.
Una città in cui ci sono più persone al Pride che alla processione del Corpus Domini o della Madonna di San Luca».
Nella lettera non si risparmiano i colpi bassi: «La Sua accoglienza, caro don Matteo, è una grottesca chimera e una menzogna» visto che «le chiese di Bologna, come quelle di tutt’Italia, sono deserte e servono ormai come luoghi in cui tenere concerti, conferenze o incontri ecumenici riservati ai pochi privilegiati della Sua ristrettissima cerchia, che poi è la stessa della Murgia, della Schlein e della gauche caviar oggi convertita alla religione woke e al globalismo, all’ideologia LGBTQ+, al gender e al green».
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VANGELO
E ancora. «La sua indulgenza verso il mondo queer tradisce la mancanza di quella visione soprannaturale che dovrebbe avere ogni sacerdote e ogni Vescovo. Voler bene a una persona significa volere il suo bene nell’ordine stabilito da Dio, non confermarla nei suoi errori. Il medico che nega la piaga purulenta non cura il paziente, ma tradisce la sua vocazione per quieto vivere o compiacenza; e il paziente a cui dovrà essere amputato l’arto in cancrena non lo ringrazierà per la sua indulgenza, ma anzi lo detesterà per il suo tradimento». Viganò cita la sacra scrittura, il Vangelo per concludere che è pericoloso «vivere in un iperuranio di sedicenti intellettuali progressisti incuranti di chi muore nel corpo e nell’anima, né incoraggiare i peccatori a continuare sulla via della perdizione per essere amici di tutti e non avere nessuno contro» . Viganò ricorda che la Chiesa non è una sala di teatro o un tendone da circo «da riempire con del pubblico purchessia, cambiando di tanto in tanto gli spettacoli in cartellone». Il nodo da affrontare è pensare che non serve credere in Dio per salvarsi: « è una bestemmia: una bestemmia che piace al mondo proprio perché si illude di rendere Dio superfluo con la vostra complicità, mentre tutto ruota intorno alla Croce di Cristo».
CONCLAVE
Alla lettera rivolta all’arcivescovado di Bologna al momento non è arrivata alcuna replica. Probabilmente è stata ritenuta superflua da Zuppi considerando lo stato scismatico del firmatario che ormai non risconosce più il Concilio Vaticano II e l’autorità di Papa Francesco. In compenso la situazione conseguente che si è creata resta delicata e gli effetti dello scisma vengon monitorati anche in Vaticano per paura di contraccolpi soprattutto negli Stati Uniti dove il ‘ribelle’ Viganò conta uno zoccolo duro di influenti e generosi benefattori. Ultimamente ha fatto discutere l’ennesimo endorsement convinto che l’arcivescovo Viganò ha rivolto al candidato Donald Trump definito un coraggioso guerriero, un uomo della provvidenza, una figura sulla quale – a suo dire – si dovrebbe porre tutta la fiducia possibile. Il giorno dopo l’attentato scampato Viganò non ha avuto alcun dubbio nel ritenere che sia stata proprio la mano di Dio a salvare l’ex presidente accusato di impeachment. In un groviglio di aspetti politici e religiosi, di dinamiche ecclesiali e di potere, lo scisma in corso è destinato ad essere una spina nel fianco di Francesco anche se in Vaticano fanno di tutto per minimizzare. Di recente un autorevole cardinale, sotto anonimato, faceva notare che in fondo la petizione che è stata lanciata su uno dei siti cattolici super conservatori — Lifesitenews — ha ottenuto solo qualche decina di migliaia di appoggi.
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