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​Migranti, la Corte Ue sul protocollo Italia-Albania: «Spetta ai giudici dire se Paese è sicuro». Palazzo Chigi: «Una decisione che sorprende»


«Uno Stato membro non può includere nell’elenco dei Paesi di origine sicuri» un Paese che «non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione». Lo stabilisce la Corte di giustizia Ue nella sentenza sul protocollo Italia-Albania e la definizione di Paese d’origine sicuro. La Corte precisa che questa condizione è valida fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento Ue, «che consente di effettuare designazioni con eccezioni per alcune categorie chiaramente identificabili di persone», atteso il 12 giugno 2026. Tuttavia, «il legislatore Ue può anticipare la data».

Palazzo Chigi: «Sorprende decisione Corte Giustizia»

«Sorprende la decisione della Corte di Giustizia UE in merito ai Paesi sicuri di provenienza dei migranti illegali. Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche. La Corte di Giustizia Ue decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari. Così, ad esempio, per l’individuazione dei cosiddetti Paesi sicuri fa prevalere la decisione del giudice nazionale, fondata perfino su fonti private, rispetto agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano». È quanto scritto in una nota diffusa da Palazzo Chigi. È un passaggio che dovrebbe preoccupare tutti — incluse le forze politiche che oggi esultano per la sentenza — perché riduce ulteriormente i già ristretti margini di autonomia dei Governi e dei Parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio. La decisione della Corte indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali. Scrive Palazzo Chigi dopo la sentenza della Corte. È singolare che ciò avvenga pochi mesi prima della entrata in vigore del Patto Ue su immigrazione e asilo, contenente regole più stringenti, anche quanto ai criteri di individuazione di quei Paesi: un Patto frutto del lavoro congiunto della Commissione, del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea. Il Governo italiano per i dieci mesi mancanti al funzionamento del Patto europeo non smetterà di ricercare ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini», conclude la nota. 

Anm: per Corte Ue operato giudici italiani è corretto 

«Nessuno remava contro il governo. Era stata proposta una interpretazione dai giudici italiani che oggi la Corte di giustizia dell’Unione europea dice essere corretta. E’ giusto saperlo, senza polemiche ma per amore di chiarezza». Lo afferma il presidente dell’Associazione nazionale magistra Cesare Parodi.

La sentenza della Corte Ue sul protocollo Italia-Albania

La Corte Ue si è espressa su richiesta del Tribunale di Roma, che finora non ha riconosciuto la legittimità dei fermi disposti nei confronti dei migranti soccorsi nel Mediterraneo e trasferiti nei Cpr in Albania perché provenienti da Paesi ritenuti sicuri dal governo italiano, in particolare Egitto e Bangladesh. Il nodo centrale riguarda la definizione e dell’applicazione del concetto di ‘Paese terzo sicuro’ nell’ambito delle procedure accelerate per l’esame delle richieste d’asilo. I Paesi Ue possono esaminare più rapidamente le domande di protezione internazionale, anche alla frontiera, se provengono da cittadini di Paesi considerati sufficientemente sicuri e — ricordano i giudici di Lussemburgo -, da ottobre 2024, in Italia, la lista dei cosiddetti Paesi di origine sicuri viene stabilita con un atto legislativo. Tra questi figura anche il Bangladesh, spiega la Corte Ue, ricostruendo i fatti all’origine di due ricorsi presentati dai migranti al Tribunale di Roma.

I dubbi del giudice italiano. Il giudice italiano aveva sollevato dubbi sulla nuova legge italiana, che non indica le fonti usate per valutare la sicurezza del Paese, sostenendo che questo limita sia il diritto dei richiedenti di contestare la decisione, sia quello dei giudici di verificarne la legittimità, in quanto non è possibile valutare l’affidabilità e l’aggiornamento delle informazioni su cui si basa la presunzione di sicurezza. Il diritto Ue, si legge nella sentenza, non vieta che a un Paese Ue di designare un Paese terzo come Paese d’origine sicuro tramite atto legislativo, «a condizione che tale decisione possa essere sottoposta a un controllo giurisdizionale effettivo». Questa garanzia è particolarmente importante quando un cittadino di quel Paese fa ricorso contro il rifiuto della sua domanda di protezione internazionale, respinta con procedura accelerata. La Corte Ue precisa inoltre che le fonti su cui si basa la designazione devono essere «sufficientemente accessibili sia al richiedente che al giudice», per garantire «una tutela legale effettiva». Il giudice può usare anche informazioni da lui stesso raccolte, purché ne verifichi l’affidabilità e permetta a entrambe le parti del procedimento di commentarle.

La discussione Meloni-Erdogan-Dbeibah. La premier Giorgia Meloni, il presidente turco Erdoğan e il primo ministro libico Dbeibah hanno discusso il rafforzamento della cooperazione «per rispondere alle sfide comuni, a partire da quella della gestione dei flussi migratori». «Ricordando gli eccellenti risultati raggiunti in questo ambito con la Turchia» Meloni «ha sottolineato l’opportunità di valorizzare le lezioni apprese applicandole anche per il sostegno all’azione del Governo di Unità Nazionale libico in ambito migratorio». Meloni «ha discusso con i suoi interlocutori una serie di linee d’azione per combattere le reti criminali internazionali di trafficanti». 

«I centri in Albania continueranno a funzionare come Cpr»

I centri allestiti dall’Italia in Albania «continueranno ad operare come Cpr, così come sta avvenendo da alcuni mesi». Così fonti di governo interpellate dall’ANSA in seguito alla sentenza della Corte europea di giustizia sui Paesi sicuri. Dallo scorso aprile a Gjader funziona un Centro di permanenza per il rimpatrio, che ospita migranti trattenuti nei Cpr italiani. Mentre inizialmente era attiva la struttura per i richiedenti asilo ai quali si applicava la procedura accelerata di frontiera. Una procedura che presupponeva la provenienza da Paesi sicuri e sulla quale oggi si è pronunciata la Corte Ue.

Commissione Ue: «Sui Paesi sicuri presto nuove misure»

«La Corte ha concluso che uno Stato membro non può designare come Paese di origine ‘sicuro’ un Paese terzo che non soddisfa, per determinate categorie di persone, le condizioni materiali per tale designazione. In questo contesto, la Commissione sottolinea che, nell’ambito del Patto, il nuovo regolamento sulle procedure di asilo introdurrà nuove misure al riguardo. Esso consentirà agli Stati membri di designare un Paese terzo come sicuro con l’esclusione di parti specifiche del Paese o di categorie di persone chiaramente identificabili». Lo sottolinea un portavoce dell’Ue commentando all’ANSA la sentenza della Corte di Giustizia Ue, della quale l’esecutivo comunitario «ha preso atto». «Nell’aprile di quest’anno, la Commissione ha già proposto di anticipare questa possibilità, che altrimenti entrerebbe in vigore nel giugno 2026», sottolinea il portavoce.


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