Mentre la nave Libra della Marina Militare carica a bordo nuovi migranti per trasferirli negli appositi centri in Albania — come a dire che l’intesa con Tirana procede, nonostante gli intoppi — arriva un nuovo stop dai giudici. Il nodo è sempre lo stesso: quello della definizione dei paesi sicuri. Stavolta è il Tribunale di Catania a disporre cinque provvedimenti di «non convalida» dei trattenimenti decisi dal questore di Ragusa per i migranti che avevano fatto domanda di protezione internazionale. Ma lo stop arriva anche dal Tribunale di Roma.
Perché i giudici hanno disapplicato il decreto del governo sui Paesi sicuri
I giudici siciliani, nello specifico, hanno emesso i decreti in relazione ai casi di tre cittadini egiziani e di due bengalesi.
Evidentemente il Bangladesh, come l’Egitto, è stato di nuovo ritenuto paese non sicuro. Poco importa che il governo abbia elevato a legge la propria lista di paesi sicuri: i Tribunali continuano a disapplicarla e a fare fede alla sentenza della Corte di giustizia dell’Ue del 4 ottobre, che considera «sicuri» solo gli stati che lo sono in tutto il territorio e che rispettano ogni minoranza.
Nel provvedimento in cui viene annullato il trattenimento di un migrante egiziano, il presidente della sezione Immigrazione del Tribunale di Catania Massimo Escher scrive: «Non resta che disapplicare ai fini della decisione il decreto-legge del 23 ottobre 2024, posto che, come è noto, le sentenze interpretative della Corte di giustizia europea vincolano il giudice nazionale, anche se appartenente ad altro Stato membro rispetto a quello che ha proposto il rinvio pregiudiziale». Non ci sarebbero dubbi, insomma, su quali norme considerare gerarchicamente prioritarie.
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Il giudice catanese sottolinea poi la necessità di esaminare la qualifica data all’Egitto dal decreto del governo, che lo include «in una lista che non prevede alcuna eccezione, né per aree territoriali, né per caratteristiche personali». E sostiene invece che tale qualificazone «non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea», obbligo che, continua Escher, è «affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia europea nella sentenza della Gran Camera del 4 ottobre 2024».
E per il giudice l’Egitto mancherebbe dei requisiti di sicurezza necessari: «In Egitto — scrive — esistono gravi violazioni dei diritti umani che, in contrasto col diritto europeo, persistono in maniera generale e costante e investono non soltanto ampie e indefinite categorie di persone, ma anche il nucleo delle libertà fondamentali, che connotano un ordinamento giuridico democratico e che dovrebbero costituire la cornice di riferimento in cui si inserisce la nozione di Paese sicuro secondo la direttiva europea».
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Il Tribunale di Catania spiega pure che in Egitto si sono «verificati anche recentemente casi di detenzioni arbitrarie e arresti senza mandato da parte delle forze di polizia, è comune la partica della detenzione preventiva e non sono infrequenti le sparizioni forzate». Discorso simile per il Bangladesh: un cittadino bengalese aveva richiesto la protezione internazionale, così il Tribunale di Bologna — vista la nuova lista sui paesi sicuri emanata dal governo — ha rimandato il suo caso alla Corte Ue chiedendo se dovesse prevalere la normativa italiana o quella comunitaria.
Anche al Tribunale di Roma, il copione è stato pressoché identico: i giudici, come nel caso di quelli emiliani, hanno sospeso l’efficacia del diniego della richiesta di asilo di uno dei 12 migranti che erano stati trasferiti in Albania.
Ma i «no» messi in fila dai giudici continuano a far infuriare l’esecutivo. Con il vicepresidente della Camera di FdI Fabio Rampelli che sottolinea come ormai sia «evidente», oltre che «inaccettabile», che «una certa magistratura vuole dettare l’agenda delle politiche migratorie sostituendosi al governo». Il Viminale, da parte sua, ha fatto ricorso in Cassazione contro le prime mancate convalide. Ora sarà la Corte d’Appello a decidere, ma il ministro dell’Interno Piantedosi si è detto «fiducioso». La nave Libra, nel frattempo, non si ferma e continua a macinare chilometri alla volta dell’Albania.
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