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«Mi spiace», «Tutto a posto». Ma oggi c’è il fronte anti-Ue


PONTIDA «Non scherziamo. Non stiamo giocando». Non erano questi i titoloni su Pontida che si aspettava, Matteo Salvini. Doveva essere il palco da cui lanciare l’internazionale sovranista, una «nuova Lega santa», la chiama il segretario federale, sul modello di quella che il 7 ottobre di cinque secoli fa ricacciò indietro gli ottomani nella battaglia di Lepanto (che tra i gazebo di Pontida viene celebrata fin sulle magliette). E che per difendere i confini e dare battaglia contro Bruxelles, stavolta, «ha bisogno di Orban, di Wilders, di Le Pen e di Vannacci», arringa il Capitano, elencando gli ospiti internazionali che calcheranno il palco o invieranno un messaggio oggi, all’evento clou, per portare solidarietà al vicepremier a processo (e non è un caso se lo slogan della due giorni compare da per tutto pure in inglese: «Defending borders is not a crime, difendere i confini non è reato»). Invece, per colpa di «quattro scemi», rischiava di trasformarsi in un patatrac. Un pretesto perché «sui giornali di sinistra», la leggono dal pratone, «si finisse per parlare solo dello scontro tra Salvini e Tajani. Scontro che, al netto delle differenze di vedute note a tutti sullo Ius scholae, non c’è», assicura chi è vicino al leader leghista.

È in macchina, Salvini, a pochi chilometri dal “sacro suolo”, quando legge il rullo di agenzie. «Cori contro Tajani», «scafista». Fiuta il pericolo. Chiama i suoi: «Ma che succede? Così ci facciamo male». Qualcuno sulle prime avanza pure il sospetto di una manovra organizzata. Una mossa collegata al congresso della Lega lombarda, visto che è da lì che arriva lo striscione ed è lì che nelle prossime settimane ci si aspettano frizioni, tra salviniani doc e la minoranza che non disdegnerebbe di tornare alla vecchia Lega Nord. Ipotesi che però viene ricacciata in un baleno: «Macché, sono ragazzi». «Una goliardata», la spiega qualcun altro, «che però testimonia quello che già sapevamo: i nostri, di Ius scholae o Ius Italiae, non vogliono neanche sentir parlare».

Ma non è né il luogo né il momento per riaprire il fronte, è convinto il vicepremier. No: la battaglia si farà nei tempi – e coi toni – opportuni. Dopo Open arms, dopo l’arringa del 18 ottobre a Palermo su cui Salvini punta a mobilitare tutto il corpaccione del Carroccio, parlamentari compresi. Così appena mette piede sul pratone a Salvini non resta che imbracciare l’estintore: «La cittadinanza per me va bene così com’è», ma «Antonio è un amico e un alleato, gli avversari sono a sinistra». E così anche agli azzurri non rimane che riporre l’ascia di guerra. «Grazie Matteo Salvini. Anche per me ogni alleato è un amico», twitta Tajani. «La lealtà è il principio sul quale si regge la coalizione di centrodestra al governo dell’Italia».

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Lo scambio

Una pace sancita in pubblico, a scanso di equivoci, ma fatta in privato. Con uno scambio di messaggi tra i due vice di Giorgia Meloni, che proprio poche settimane fa aveva invitato i partner di maggioranza a moderare i toni, dopo l’estate sull’ottovolante delle dichiarazioni barricadere sul capitolo cittadinanza. «Mi dispiace per gli insulti, Antonio», scrive Salvini, chiedendo «scusa» a nome della Lega per l’incidente. E assicurando che i responsabili saranno opportunamente redarguiti con una lavata di capo «esemplare». Niente di meno di ciò che il collega azzurro si aspettava per chiudere il caso: «Tutto a posto», pare sia stata in sostanza la risposta di Tajani. Consapevoli, entrambi, che su questo fronte ci sarà ancora da scornarsi, nei mesi a venire. Ma «senza superare certi limiti», è la promessa reciproca.

Archiviato il qui pro quo, nella Pontida tornata “di lotta” più che di governo si balla sulle note di Alfa e Cesare Cremonini. Fiumi di birra, arrosticini e salamelle prima dei balli. Ma «senza esagerare», si raccomandano dal palco: stamane si ricomincia alle dieci, con un parterre internazionale (oltre al debutto di Vannacci): il portoghese André Ventura, il premier d’Ungheria Viktor Orban, una delegazione di Vox e dell’Fpo austriaco e poi messaggi da Bolsonaro, Le Pen, Bardella. «Vuol dire che quello che era un sogno grande movimento patriottico internazionale sta diventando realtà», sorride a sera Salvini. Bocche ancora cucite su possibili sorprese: ci sarà o no un messaggio da Donald Trump? Di certo ieri a calcare il palco c’erano un paio di giovani supporter del tycoon: l’italo-americano Luca Ruggieri in cravatta rossa come il tycoon («Salvini? Sarebbe un grande premier!») e il texano Mark Ivanyo, in cappello da cowboy e camicia a stelle e strisce. Più che un’internazionale sovranista, un crossover: Make Pontida great again.

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