ROMA Si riparte dalla casella di partenza, come nel gioco dell’oca. Nelle stanze del potere si guarda con trepidazione a San Pietro, dove, per la prima volta, il Conclave ha scelto un Papa americano, ma anche un pontefice agostiniano. Due grandi novità a cui si presta estrema attenzione in queste ore, cercando di immaginare i tempi che arriveranno. Domenica 18 la solenne cerimonia di inizio del ministero petrino con la presenza di big in arrivo da tutto il pianeta, molti di ritorno a San Pietro a poco più di venti giorno dalle esequie di Bergoglio e con l’incognita Trump che aleggia nell’aria. Viene data molto probabile sul sagrato di San Pietro la presenza del suo vice, J.D Vance, ma con The Donald «da qui al 18 è ancora lunga, si vedrà…», tagliano corto a Palazzo Chigi. L’esecutivo italiano parteciperà all’intronizzazione con una folta delegazione.
LA VISITA DI STATO
In prima fila, naturalmente, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con il Quirinale che, una volta superato lo step della messa di inizio pontificato, inizierà a lavorare a una visita di Stato, per il primo faccia a faccia tra Papa Leone e il nostro Capo dello Stato. Poi sarà la volta di Giorgia Meloni. La sua seconda volta da premier alla corte di un pontefice. Anche con Papa Francesco, infatti, la presidente del Consiglio aveva lavorato per un avvicinamento graduale, condito da un’iniziale punta di diffidenza. Lei devota a Wojtyla, al punto di averne sempre un “santino” con sé. Ma anche grande estimatrice di Papa Ratzinger, ritratto dalla premier come un «gigante». Il primo incontro con Francesco arriva a due mesi dall’esordio di Meloni a Palazzo Chigi. I due si prendono subito, al punto da stringere un rapporto che, come raccontato dalla stessa Meloni, va presto ben al di là di quello che può instaurarsi tra un presidente del Consiglio e un pontefice. Ora si riparte, con la “regia” affidata al sottosegretario Alfredo Mantovano, uomo considerato molto vicino al Vaticano. E la sponda di Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede ieri confermato provvisoriamente nell’incarico, con il resto della Curia, da Leone XIV.
In ore in cui ci si interroga sulle distanze tra Prevost e il presidente americano — con Steve Bannon che parla di un voto dei cardinali in chiave «anti-Trump, la scelta peggiore per noi Maga» — la speranza che si fa largo in ambienti di governo è che Leone possa davvero costruire «ponti», riavvicinando le due sponde dell’Oceano in tempi in cui gli States e l’Ue appaiono lontani anni luce. Ci sono focus su cui le distanze sono evidenti, a partire dal tema migranti, su cui anche il rapporto tra il vescovo di Roma e il governo Meloni parte in salita. «Ma la dialettica, da sempre, è parte integrante del rapporto con il Vaticano. Non è che con Bergoglio si fosse in armonia su tutto, no? Eppure è nato un rapporto improntato alla lealtà e all’affetto», fa notare una fonte vicina alla premier. Ci sono poi dei temi considerati centrali per Leone XIV su cui iniziare a costruire, un mattone sopra l’altro.
L’ALGORETICA
In primis, l’Intelligenza artificiale, tema che ha portato Bergoglio a prendere parte al G7 in Puglia e da sempre prioritario nell’agenda Meloni. Il problema dei posti di lavoro nell’era della rivoluzione digitale ha portato addirittura a Prevost la scelta del nome di Leone. Si potrebbe partire da qui per iniziare a costruire. Il Papa, matematico, dunque forte del suo background scientifico, potrebbe dare un contributo decisivo per una governance globale dell’intelligenza artificiale. Improntato alla algoretica, termine coniato non a caso in ambiente ecclesiale. Per un approccio all’IA che non parta da logiche di potere o da visioni tecnocentriche, ma da un’antropologia centrata sulla relazione, sull’empatia e sulla fraternità. E che salvaguardi posti di lavoro, tema caro alla premier come a Prevost.
Ileana Sciarra
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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