Basta scorrere gli scatti che li ritraggono insieme per capire che i due non si prendono affatto e forse non si son mai presi. Très très mauvais, per dirla alla francese. Lo sguardo di gelo rivolto da Meloni a Macron al G7 a Borgo Egnazia, con il Presidente Mattarella nel mezzo; il volto platealmente annoiato della premier italiana al tavolo dell’Eliseo per il vertice voluto da Macron sulla guerra in Ucraina; le distanze al G20 di Bali, quando i due si evitavano con cura, un classico a cui i cronisti al loro seguito hanno fatto il callo. Dall’ottobre 2022 ad oggi, vale a dire da quando Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi, si fa fatica a mettere insieme i cocci dei tanti scontri sulla rotta Roma-Parigi. Sarà che, come sosteneva Martin Luther King, per farsi dei nemici non è necessario dichiararsi guerra, a volte basta dire quello che si pensa. E a furia di dirsele Macron e Meloni hanno finito spesso per darsele di santa ragione, metaforicamente sia chiaro. Un po’ come Tom e Jerry, Willy il Coyote e Beep Beep, Titti e Silvestro. Corse e rincorse, affondi e sgambetti, mosse e contromosse. E poi le inevitabili rappacificazioni. Dalle lunghe chiacchierate nella hall dell’hotel Amigò a Bruxelles al tête-à-tête su una terrazza con vista Trastevere, fino alla pace siglata nel villaggio olimpico di Parigi. Perché ci si può scontrare, discutere, litigare, ma Francia e Italia sono destinate a restare alleate, un giano bifronte che la storia ha reso inscalfibile.
L’INCONTRO VOLUTO DA MACRON
Stavolta ad alzare bandiera bianca — dopo l’esclusione di Meloni dal tavolo che conta a Tirana — sarebbe stato Macron. Monsieur le président avrebbe proposto alla premier di fare un salto a Roma (martedì l’incontro), «perché è suo compito unire gli europei ed è desideroso di lavorare anche con lei», spiegano dal suo entourage. Una mano tesa, dopo lo schiaffo della settimana scorsa. Quando Macron, stando alle ricostruzioni di fonti diplomatiche, avrebbe brigato per lasciare la premier italiana fuori dalla call con Trump e Zelensky. Per poi invitarla, a mezzo stampa, a non diffondere fake news. Innescando l’ennesimo incidente di una lunga serie. Come dimenticare lo scontro sull’Ocean Viking che costrinse Mattarella a scendere in campo per placare gli animi? O le parole al vetriolo dell’ex ministro dell’Interno Gérald Darmanin che indussero il vicepremier Antonio Tajani ad annullare il viaggio a Parigi? E poi il G7 a Borgo Egnazia, quando irruppe sulla scena la lite sull’aborto e il fastidio italiano per la fuga in avanti dei francesi sull’accordo sugli asset russi congelati per un prestito all’Ucraina. L’Ucraina giustappunto, altro eterno terreno di scontro. Condito da esclusioni — non solo quella di Tirana, ma anche all’Eliseo nel febbraio 2023 — e da distanze siderali sul ruolo dell’Europa in caso di tregua. Tanto da spingere Meloni a rivolgersi a Macron con un «a che titolo sei andato a Washington?», mentre sul tavolo dei volenterosi calava il gelo. Anche la leader di Fdi, del resto, c’ha messo del suo. Solo per citare un affondo, si ricordi la puntura con cui commentò la sconfitta del partito di Macron alle politiche, segno di una grandeur perduta. Sarà che in fondo in fondo Mason Cooley aveva ragione nel sostenere che gli amici a volte sono noiosi, ma i nemici non lo sono mai.
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