19.05.2025
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Politics

Meloni a Pechino, apertura ai colossi cinesi: «Ma con piani trasparenti»


Andare oltre. Superare le reciproche diffidenze. Inaugurare una nuova stagione. Con la Cina come con le sue imprese. Al tavolo della Grande casa del popolo, ad un centinaio di metri dal ritratto di Mao Zedong che campeggia su una piazza Tienanmen bollente ma invasa dai turisti (tutti cinesi), Giorgia Meloni prova a riscrivere una storia che ad un tratto sembrava archiviata. La visita della premier è infatti il risultato di un’azione diplomatica lunga più dei dieci mesi trascorsi dalla formalizzazione dell’addio nostrano alla via della Seta.

LE APERTURE

Un lavorìo utile a chiarire soprattutto come le aperture italiane non vadano intese come una sorta di restaurazione dello status quo, ma — ha sottolineato a più riprese la premier all’apertura del Business forum assieme all’omologo Li Qian quasi a porre delle condizioni — come un punto di partenza per una relazione più equa, più solida e meno basata sulle convenienze del momento. E cioè se l’Italia è “costretta” a strappare sulla via della Seta perché non ne può più condividere l’impostazione, lo è anche perché la Cina talvolta prova a cavalcare (o peggio creare) quegli squilibri internazionali che minano i mercati. Pechino insomma, si è in passato mostrata un partner non del tutto affidabile per i Paesi occidentali, non prendendo le distanze dalle azioni compiute da Vladimir Putin in Ucraina, giocando partite quanto meno “singolari” in Africa e agitando le acque dell’Indopacifico con recriminazioni varie. Tutte crisi che non vanno d’accordo con la «stabilità» che la stessa Cina chiede di «iniettare» nel contesto internazionale.

IL CONFRONTO TRA IMPRESE

Perché la stabilità ci sia, però, serve trasparenza. Non solo diplomatica ma pure industriale. Questo è infatti il perimetro d’azione entro cui Meloni chiede di agire anche alle aziende cinesi che ieri si sono confrontate con la controparte italiana guidata da Confindustria. Una cinquantina quelle presenti al forum (tutte lungamente verificate dalla nostra intelligence), a cui Meloni ha ricordato come il da loro “temuto” ricorso al golden power da parte di palazzo Chigi sia in realtà aggirabile, ma solo e soltanto a fronte di «forme virtuose» di partenariato e «di piani di sviluppo industriale trasparenti e verificabili». Il solco entro cui muoversi è ampio ma definito.

L’EQUILIBRIO

Strappi o ambiguità non sono ammessi. Il che, oltre alla stabilità a Roma come a Pechino, richiede anche un certo equilibrio nella gestione diplomatica. Qualcosa di paragonabile a quello mostrato nelle scorse settimane dall’Italia quando, nei documenti del G7, ha messo in guardia dalle «fazioni unilaterali» che potrebbero minare il commercio globale. Oppure alla disponibilità nostrana a soccorrere le aziende dell’automotive cinese contro i dazi Ue. O anche all’attenzione nella gestione dell’esercitazione militare che si terrà dal 2 agosto nell’Indopacifico. Una missione altamente simbolica richiesta da Tokyo alla Nato per mostrare la compattezza dell’alleanza su quel fronte, e che l’Italia interpreterà con la portaerei Cavour senza entrare nelle aree contese tra Giappone e Cina né avvicinandosi allo stretto di Taiwan. Equilibrio e fiducia. Ovvero ciò che ha chiesto Meloni ieri e ciò che si aspetta Xi Jinping nel bilaterale di un’ora che si terrà oggi, subito dopo una visita privata della premier alla Città proibita.

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