Ministro Nordio, partiamo dal caso del giorno: l’emergenza carceri. Cosa risponde al grido di allarme del capo dello Stato sul fenomeno dei suicidi dei detenuti e sulle condizioni di vita nelle prigioni italiane?
«Abbiamo prestato grande e rispettosa attenzione alle parole del capo dello Stato. La prevenzione dei suicidi e dei fenomeni di autolesionismo è la priorità di questo governo e del ministero. Ma le cause di queste tragedie sono complesse, e non possono essere ricondotte unicamente al sovraffollamento carcerario. È un problema che ha coinvolto tutti i paesi europei, e affonda le sue radici nel disagio psicologico di chi soffre la limitazione della libertà, soprattutto quando la vive come un’ingiustizia. Per questo l’intervento più importante dev’essere attuato su due fronti: il sostegno psicologico e il lavoro. Per il primo abbiamo già stanziato tre milioni di euro, per il secondo molto di più, con i fondi europei: 254 milioni per l’intervento tramite le regioni, e 75 per la formazione professionale».
Uno dei grandi problemi è quello del sovraffollamento degli istituti penitenziari. Sappiamo che è in via di approvazione un piano per l’edilizia carceraria che potrebbe contribuire alla soluzione di questa emergenza. Potrebbe anticipare alcuni dettagli per il Messaggero?
«Per l’edilizia il Commissario straordinario ha già pronto un piano che andrà ben oltre le cifre di poche centinaia di posti sentite in questi giorni. Ma la costruzione di nuovi edifici in Italia è impresa ardua, per i vari vincoli geologici, ambientali, culturali ecc. Per spostare una porta a Regina Coeli è necessario chiedere l’autorizzazione alla Sovrintendenza. Di questo non parla nessuno. Comunque per ridurre il sovraffollamento siamo impegnati in tre direzioni: una detenzione differenziata, preferibilmente presso comunità, per i tossicodipendenti; l’espiazione della pena per gli stranieri presso i loro Paesi di origine: queste due categorie rappresentano da sole la metà dei detenuti. Poi c’è l’aspetto più importante: circa quindicimila detenuti sono in carcerazione preventiva: sono presunti innocenti, buona parte dei quali alla fine sarò assolta, come dimostrano i numeri. Quindi la loro detenzione era ingiustificata. A parte la devastazione psicologica e finanziaria che questi hanno subito, la loro riduzione sarebbe da sola importante per risolvere questo problema».
Alcuni esponenti del Partito Democratico hanno proposto, come soluzione del problema, un grande provvedimento di indulto “svuotacarceri”. Lei che ne pensa?
«Liberare un condannato perché non hai spazio per tenerlo non è una manifestazione di indulgenza, ma una dichiarazione di resa: tanto vale allora smettere di imprigionarli. Ma i cittadini esigono sicurezza, e non tollerano che il ladro o l’assassino vengano liberati per ragioni di capienza edilizia. La magnanimità si può avere solo nella vittoria, come diceva Churchill. Quando avremo superato queste urgenze, nei modi che ho detto, potremo riparlarne. Ma faccio presente che nemmeno la Chiesa prevede la generosità gratuita: Essa richiede, per ottener il perdono, la confessione, la penitenza e il fermo proposito di comportarsi bene».
C’è una frase idiomatica che suona più o meno così: “Lo ha detto la Cassazione”. Si usa per certificare l’affidabilità di un assunto. Ora, nei giorni scorsi, sono comparsi titoli di giornale in cui la Cassazione diceva che il decreto Sicurezza e le norme sui migranti non andavano bene. Che succede?
«Succede una gran confusione. La Cassazione, come supremo organo giurisdizionale, non ha detto proprio nulla, e se lo avesse detto, senza esser investita di un ricorso, avrebbe commesso un sacrilegio. Si è pronunciato l’Ufficio del Massimario con un intervento che ritengo irriverente, improprio e imprudente».
Perché?
«È irriverente verso il Capo dello Stato, perché contiene critiche radicali sul decreto sicurezza, sia sulla sua necessità ed urgenza, sia sui suoi contenuti, ritenuti manifestamente incostituzionali. Se così fosse, Il Presidente sarebbe stato il primo a rilevarli, e invece non l’ha fatto».
E improprio?
«Improprio, perché l’Ufficio del Massimario della Cassazione ha competenza soltanto nel raccogliere le massime di giurisprudenza, in modo da fornire anche ai giudici di merito un’adeguata informazione e un indirizzo possibilmente omogeneo. Se redige delle relazioni sulle novità normative può farle solo sotto un profilo di tecnica redazionale, perché non ha nessuna legittimazione a pronunciarsi in via preventiva sulla costituzionalità delle leggi, e tantomeno sul loro contenuto politico. Questo è un vero oltraggio al Parlamento sia pur espresso nel linguaggio aulico del giuridichese. Ora, questo documento del Massimario è soltanto apparentemente una sequenza di argomentazioni tecniche politicamente neutrali. Quando dice che lo sgombero di un immobile occupato abusivamente può creare disagi sociali, esprime un giudizio incompatibile con la logica e con il diritto. In pratica giustifica il reato di violazione di domicilio».
E imprudente?
«È imprudente, perché farà del male alla stessa magistratura. Anche ammettendo che l’Ufficio del Massimario abbia questa competenza, e ripeto che non ce l’ha affatto, esso è sempre inserito in un organismo, la Corte suprema di Cassazione, che il cittadino vede come massima e ultima espressione di un giudice terzo e imparziale. L’aver espresso un giudizio preventivo, così netto e polemico, indurrà il cittadino a perdere fiducia nella magistratura, che ormai considera, sicuramente a torto, schierata e prevenuta».
Eppure in una recente intervista la prima presidente della Corte, Margherita Cassano, ha detto che le relazioni di quel Massimario servono a fornire un possibile orientamento ai magistrati che devono decidere. Lei pensa che il Massimario della Cassazione influenzi in questa maniera i processi in corso?
«La presidente Cassano è una grandissima magistrata, ed è mia amica. Naturalmente voleva dire che le produzioni del Massimario devono ispirare i giudici alla coerenza e alla omogeneità, sulla base delle sentenze delle giurisdizioni superiori. Ma il commento del Massimario non può e non deve avere alcuna influenza nelle decisioni dei giudici di merito, che rispondono solo alla legge. Se così non fosse, invece di sottoporre i pm all’esecutivo, come si va oggi lamentando, si sottoporrebbero i giudici all’arbitrio burocratico di un organo che non ha alcuna autorità istituzionale».
Le forze di opposizione si sono schierate tutte a difesa del Massimario. Se lo aspettava?
«Lo temevo, ma speravo di no. Io mi sono dichiarato incredulo proprio perché non immaginavo una simile interferenza. Ma in realtà sono abituato a certe esondazioni di alcuni ex colleghi. Quello che mi ha stupito è stato l’atteggiamento dell’opposizione, che non si è accorta di quanto sia stata umiliante un’adesione pronta e incondizionata a un intervento che scavalca la stessa politica. L’opposizione ha tutto il diritto, e anche il dovere, di criticare in modo severissimo le nostre iniziative. Ma in questo modo manifesta una subordinazione pavloviana, che riduce la sua funzione al rango di portavoce gregario di un gruppo di studio di togati».
Più nel dettaglio, quali sono i passaggi della relazione del Massimario che le sembrano impropri?
«Praticamente tutti, ma principalmente quelli irriverenti verso il Capo dello Stato sulla decretazione di urgenza e il sospetto di incostituzionalità. Ma nel merito mi ha colpito quello che ho citato sugli sgomberi delle case occupate. Ci sono centinaia di esempi di piccoli proprietari che al ritorno dopo una breve assenza, magari in ospedale o semplicemente a al supermercato, trovano l’appartamento invaso da persone che hanno forzato la serratura e vi si sono installate. In qualsiasi Paese al mondo questa violazione di domicilio provocherebbe lo sgombero immediato. Da noi sembra che la giustizia sia dalla parte del malfattore».
Rimane, sullo sfondo, il tema dell’ideologizzazione di alcuni tribunali. C’è il rischio che il cittadino comune percepisca come “politicizzata” la principale fonte del diritto, quella che dovrebbe garantire equità sociale rispetto dei diritti. Cosa ne pensa?
«Oggi, ma in realtà non da oggi, la realtà percepita è più importante di quella oggettiva. Sono stato magistrato per 40 anni, ho spesso avuto dibattiti accesi con i miei colleghi, anche con il mio procuratore capo, ma al momento della decisione tutti si sono sempre dimostrati imparziali. Quando indagavo sulle coop rosse più di una volta ho chiesto l’archiviazione o l’assoluzione di un “compagno”, e il giudice, attivista di Magistratura Democratica, mi ha dato torto. Ma oggi, dopo tutti questi interventi impropri, i cittadini percepiscono una parte della magistratura come contaminata dalla politica. E la prima domanda che l’imputato rivolge al difensore è quale sia l’ideologia del suo giudice. Purtroppo l’Associazione Nazionale Magistrati fa ben poco per smentire questi pregiudizi, limitandosi ad autocertificazioni di virtù e di neutralità che invece alimentano questi sospetti. Con la riforma in corso queste cose cambieranno».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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