06.11.2025
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Economy

«Manteniamo le ibride anche dopo il 2035. Sono i modelli preferiti dai consumatori»


Gianmarco Giorda, direttore generale dell’Anfia (l’associazione dei produttori italiani dell’automotive), ieri la Ue ha confermato che un fine anno potrebbe rivedere il blocco per le motorizzazioni endotermiche al 2035, «ispirandosi ai principi di neutralità tecnologica» . Intanto è massima la confusione sui modelli da scegliere.

«Seguire un approccio tecnologicamente neutro significa lasciare spazio, prima di tutto nel processo di decarbonizzazione della mobilità di qui al 2035, al contributo che anche altre tecnologie, diverse dall’elettrico puro, possono dare alla riduzione delle emissioni di CO2. Tra queste tecnologie ci sono anche le vetture ibride plug-in (Phev) ei veicoli ad autonomia estesa (Reev), essenziali per l’ambiente e per l’industria europea in questo momento di transizione».

Gli effetti per l’industria?

«Queste tecnologie, oltre a essere oggi più richieste dal mercato rispetto ai veicoli elettrici, se mantenute anche dopo il 2035 consentirebbero di far sopravvivere la tecnologia dei motori a combustione interna, rinnovandola e al contemporaneo salvaguardando i livelli occupazionali della filiera industriale.

Alcuni costruttori paventano che le rigidità europee li spingeranno a produrre fuori dalla Ue.

«C’è questo rischio perché l’Europa rischia di perdere la propria competitività come player globale dell’automotive. La formula attuale del Green Deal, che per l’auto segue un approccio mono-tecnologico centrato sull’elettrico, sta danneggiando per esempio i componentisti europei. I cui prodotti coprono all’incirca il 60% del contenuto tecnologico dei veicoli a combustione interna prodotti nella Ue, ma solo il 40% circa dei veicoli elettrici. Secondo Clepa (l’associazione europea delle aziende della componentistica, ndr) si rischia di perdere fino al 23% del valore aggiunto al 2030. La necessaria revisione della normativa sulla CO2 deve anche essere accompagnata da adeguate e proporzionate misure di protezione della manifattura europea, anche a salvaguardia del valore aggiunto generato dalla produzione continentale di auto, sistemi e componenti».

Invece i governi europei stanno spaccando sulla revisione del target climatico al 2040.

«La difficoltà di raggiungere un punto di equilibrio deriva anche dal fatto che i Paesi europei hanno caratteristiche diverse a livello di sistema economico, ossatura e sensibilità industriale, specializzazione manifatturiera, da cui emerge una differenziazione di interessi e approcci adottati dai diversi governi».

C’è scontro anche sui biocarburanti, in primis il biodiesel.

«E l’Italia è leader nella produzione di questo tipo di carburanti. Se avessimo a disposizione già da oggi più carburanti a bassa o nulla impronta carbonica derivati ​​da biomasse l’ambiente ne beneficerebbe ei veicoli alimentati in questo modo potrebbe sostituire le vetture a carburanti tradizionali di vecchia generazione (a fine 2024 oltre il 36% del parco auto circolante in Italia è ante-Euro 5)».

Perché alcuni casi chiedono regole più flessibili, per esempio sulla sicurezza, per le cosiddette utilitarie?

«Per evitare un impatto negativo sulla competitività dei modelli di auto a più basso costo – che hanno citata una penetrazione importante nel mercato europeo (in Italia la quota di utilitarie e superutilitarie sul totale venduto a gennaio-ottobre 2025 è del 29,8%) – e in generale sull’industria europea, che ancora ferma una buona offerta in questi segmenti».

Un nuovo piano di incentivi potrebbe far risalire le vendite?

«Gli incentivi alla domanda servono purché siano programmati secondo un piano di rinnovo del parco a medio-lungo termine, favorendo le tecnologie green e con regole e tempi certi, anziché stop and go che destabilizzano il mercato. Tuttavia, da soli non bastano: vista la rivoluzione tecnologica in atto bisogna mettere in campo politiche industriali che agiscano sui fattori di produzione – in primis il costo dell’energia – e sul sostegno agli investimenti in innovazione e in ricerca e sviluppo».

Dopo la crisi dei chip per auto, si rischiano blocchi alla produzione o alle consegne?

«C’è stato qualche allentamento della stretta iniziale nelle forniture. Ancora ci sono però delle incognite nel mantenere la stabilità delle catene di approvvigionamento internazionali. È possibile che si non verifichino ancora dei ritardi nelle consegne delle vetture ai consumatori finali».


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