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l’Unione vota a maggioranza per tariffe fino al 45% (nonostante il no di Berlino)


Nonostante il blitz dell’ultimo minuto, la Germania non riesce a bloccare i dazi sulle auto elettriche importate dalla Cina. I prelievi per compensare gli effetti dei sussidi pubblici concessi dalla Repubblica popolare alla filiera delle e-car, alterando la concorrenza con i produttori Ue, sono così pronti a diventare definitivi una volta confermati con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale prevista entro fine mese: si applicheranno per i prossimi cinque anni, con un tetto massimo di circa il 35% che va a sommarsi alle tariffe del 10% già esistenti. Il totale dei dazi, quindi, arriva al 45% del valore della vettura.

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IL PERCORSO
La Commissione ha ottenuto «il sostegno necessario», si legge in una nota dell’esecutivo europeo arrivata pochi minuti dopo il voto a cui hanno preso parte, ieri a Bruxelles, i tecnici dei 27 governi Ue, riuniti nel comitato che si occupa di misure di difesa commerciale. In realtà, gli Stati si sono divisi in tre blocchi nello scrutinio: 10 sì, tra cui Italia, Francia e Polonia, 5 no, con la new entry Germania che si è andata ad aggiungere in extremis a Ungheria, Slovacchia, Slovenia e Malta, e infine ben 12 astenuti, tra cui la Spagna, fino alla vigilia data in bilico e vicina al voto contrario dopo che il premier Pedro Sánchez aveva invitato alla prudenza durante un recente viaggio in Cina.

Né i sostenitori della stretta proposta a luglio dalla Commissione né gli oppositori, insomma, hanno raggiunto la maggioranza qualificata necessaria (15 Paesi in rappresentanza di almeno il 65% della popolazione Ue) per approvare per direttissima o bocciare, con appello, il regolamento istitutivo dei dazi. È questo lo scenario di “no opinion”, per cui i governi si rimettono all’esecutivo Ue, autorizzato a tirare dritto. Bruxelles ha già in più occasioni indicato di non voler fare passi indietro rispetto alla linea dura mantenuta nell’ultimo anno. La deliberazione finale arriverà entro il 30 ottobre, ma nel frattempo la Commissione intende continuare a lavorare «intensamente» con Pechino per «per esplorare una soluzione alternativa» ai dazi (che in caso di schiarita potrebbero essere sospesi in tutto o in parte), ma questa dovrà rispondere a una serie di condizioni, spiegano da palazzo Berlaymont: essere «pienamente compatibile con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), adeguata ad affrontare le sovvenzioni dannose accertate dall’indagine Ue, monitorabile e attuabile».

È sulla stessa linea il governo italiano, che pure ieri ha optato per sostenere «le analisi tecniche della Commissione tese a ripristinare condizioni di equità commerciale», ha affermato il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, che ha aggiunto: «Auspichiamo che il negoziato riprenda sia in bilaterale sia in sede di Wto per giungere a una soluzione condivisa nel pieno rispetto delle regole internazionali. Noi siamo contrari ad ogni ipotesi di “guerra commerciale”». Nel dettaglio, le aliquote di dazio sono state così modulate, alla luce dell’impatto dei sussidi ricevuti da ciascuna azienda: 35,3% per Saic (che ha una joint venture con la tedesca Volkswagen), 18,8% per Geely (che controlla la svedese Volvo), 17% per Byd (cioè le tre case automobilistiche per cui Bruxelles aveva aperto un’indagine); mentre saranno pari al 20,7% per le altre sigle che hanno collaborato con la Commissione e del 35,3% per chi non lo ha fatto. Non sfuggono dalla scure Ue anche le aziende occidentali per la quota prodotta in Cina: all’americana Tesla (che ha chiesto un calcolo ad hoc) sarà applicata la tariffa più bassa, del 7,8%.

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