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«Lotta contro i trafficanti». Kiev, Roma cauta sull’uso delle armi in Russia


Le convergenze parallele sulla lotta all’immigrazione illegale. La cautela e i distinguo quando invece si parla di Ucraina e dell’offensiva di Volodymyr Zelensky in territorio russo che divide gli alleati occidentali. E dell’autorizzazione a usare in Russia i missili a lungo raggio che l’amministrazione Biden insieme al governo inglese valuta di dare alle truppe ucraine nei prossimi giorni.

Buona la prima tra Giorgia Meloni e Keir Starmer? A Palazzo Chigi sono convinti di sì. Il feeling c’è ed è evidente tra la leader italiana e il premier britannico al primo faccia a faccia a Roma, fra gli stucchi e le siepi di Villa Doria Pamphilj. «È il primo di una serie di importanti incontri in settimana» esordisce Starmer, «il G7 Cultura a Napoli, il match fra Arsenal e Atalanta in Champions League…».

L’INTESA

L’intesa anche c’è e si salda sul terreno più imprevedibile. Ci vuole un attimo ai cronisti assiepati nel salone affrescato a realizzare che a parlare è il leader della sinistra britannica. «Vogliamo approfondire il modello dell’Albania per gestire gli sbarchi». «È fondamentale impedire alle persone di intraprendere questi viaggi, impedire che altre vite si perdano in mare». Non è il programma elettorale di Fratelli d’Italia ma ci assomiglia: a Roma il premier inglese sembra sposare, a sorpresa, la strategia italiana contro l’immigrazione irregolare. «Avete compiuto – dice – notevoli progressi, lavorando alla pari con i paesi sulle rotte migratorie per affrontare i fattori che determinano la migrazione alla fonte e contrastare le reti, e il risultato è che gli arrivi illegali via mare in Italia sono diminuiti del 60% dal 2022». Un approccio «pragmatico», quindi, per «esplorare vie nuove sui migranti» mandando comunque in soffitta il “modello Ruanda” di Sunak.

In mattinata la visita al centro di coordinamento sull’immigrazione del Viminale, scortato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Si dice interessato al modello dell’Albania, Paese dove l’Italia inaugurerà a breve due centri per il riconoscimento dei migranti fra mille proteste delle opposizioni e ong, «questione di settimane» assicura Meloni. I giornalisti inglesi, spietati, incalzano il premier in trasferta: cosa pensa delle accuse sulla violazione dei diritti umani in Albania?

Starmer glissa, Meloni replica stizzita: «Non so a quale violazione si riferisca, visto che in Albania si applica la giurisdizione italiana ed europea». Fin qui tutto liscio. Sull’Ucraina invece lo spartito non è uguale. Pieno accordo sui fondamentali. Starmer ringrazia Meloni per la barra dritta tenuta sul sostegno a Kiev, la sua «leadership»: «Italia e Gran Bretagna resteranno al fianco dell’Ucraina per il tutto il tempo necessario», «as long as it takes». E si spinge oltre condannando «la guerra illegale iniziata dalla Russia» e ribadendo «il diritto all’autodifesa» del Paese aggredito.

Sottoscrive in pieno la presidente del Consiglio che per la prima volta si espone su un tema delicatissimo, l’invasione delle truppe ucraine della regione russa di Kursk che da un mese sta togliendo il sonno a Vladimir Putin e i suoi generali. Sostanzialmente con un placito benestare dell’operazione offensiva. «Per noi è importante che Kiev costruisca le migliori condizioni possibili per un tavolo di pace ed è quello che abbiamo fatto finora». E ancora: «Tutto quello che ritiene e riesce a fare per ottenere queste condizioni è benvenuto». Il terreno più scivoloso però è un altro. Kiev ha diritto a usare le armi occidentali a lungo raggio in territorio russo? È una richiesta pressante di Zelensky, un pallino fisso, «possiamo battere la Russia» ripete agli alleati da giorni. Starmer è reduce dalla visita alla Casa Bianca e con Biden valuta di dare il via libera, come chiede da mesi l’ala più oltranzista della Nato. «Kiev ha diritto a difendersi» spiega a Roma il laburista.

LA PRUDENZA

Meloni invece è più cauta. «Queste sono decisioni che prendono le singole nazioni, i singoli Paesi che forniscono questi armamenti anche tenendo in considerazione quelle che sono le loro legislazioni di riferimento, la loro Costituzione. In Italia, come voi sapete, questa autorizzazione oggi non è in discussione». È una cautela imposta dalle dinamiche interne alla coalizione, con la Lega in pressing per frenare l’invio di armi a Zelensky.

La stessa prudenza guida in queste ore gli eurodeputati di FdI intenti a limare la mozione dei conservatori pro-Kiev all’Europarlamento, a frenare gli scatti in avanti dell’ala polacca nel partito. Quella sui missili, chiarisce comunque Meloni, «è una posizione perfettamente condivisa all’interno del centrodestra» e dunque il no alle munizioni in Russia «non va letto come un indietreggiare nel sostegno all’Ucraina. «Quando il presidente Zelensky è venuto in Italia non più tardi di due settimane fa ha detto: non chiediamo all’Italia nulla di più di quello che sta già facendo». L’Italia insomma resta su un no granitico all’uso di armi in territorio russo. Quanto granitico, resta da capire: i missili a lunga gittata Storm Shadow che Starmer valuta di garantire a Zelensky per la sua offensiva sono costruiti con tecnologia italiana dell’azienda Leonardo. Che l’Italia non ha mancato di fornire negli ultimi pacchetti (segretati) di aiuti militari. Il tempo dirà.

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