16.05.2025
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Politics

Libano, i soldati italiani di Unifil restano. La preoccupazione per i militari schierati lungo la Blue Line


Via dal Libano. Cresce la preoccupazione a Palazzo Chigi per l’escalation militare tra Israele e il Paese dei cedri dopo l’uccisione del leader di Hebzollah Nasrallah. E si traduce in un monito perentorio del ministro degli Esteri Antonio Tajani ai concittadini ancora presenti in territorio libanese: «Invitiamo tutti i cittadini italiani a lasciare quanto prima il Libano utilizzando anche i voli di linea che continuano a essere operativi dall’aeroporto di Beirut verso Milano e verso Roma».

Sono ore di grande apprensione nel governo. Soprattutto per le sorti dei 1200 caschi blu italiani schierati al confine Sud libanese nella missione Onu. Di lì, per il momento, non si sposteranno, ha fatto sapere ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni impegnata in una girandola di riunioni e chiamate con i ministri che seguono il dossier. Anche con il Capo dello Stato Sergio Mattarella c’è un filo diretto per aggiornarlo sulla crisi.

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LA LINEA DELLA PREMIER

«Pur nella sua drammaticità, la situazione dei nostri connazionali, militari e civili presenti sul territorio libanese non mostra profili diversi da quelli dei giorni scorsi», mette a verbale Meloni, «l’Italia conferma, in linea con la posizione tenuta finora, la necessità di ogni sforzo diplomatico al fine di riavviare canali di dialogo tra le parti in conflitto».

In verità dietro le quinte qualcosa si muove. Sia Meloni sia il ministro della Difesa Guido Crosetto nei giorni scorsi hanno chiesto anzi preteso dall’Onu garanzie per i soldati sotto il tiro dei missili. Nella convinzione che al Palazzo di Vetro di New York non stiano facendo abbastanza per assicurare che la Blue Line, la striscia di terra su cui insiste la missione di peacekeeping, resti fuori dai bombardamenti.

Le autorità israeliane continuano ad avvisare il comando italiano prima dei lanci per permettere ai soldati di rifugiarsi nei bunker. Ma in più di una recente occasione, da quando il confine Sud è diventato teatro di una guerra totale di Israele a Hezbollah, si è rischiato l’incidente con schegge di missili e razzi atterrate molto vicino alle postazioni. Tajani lo ha fatto presente da New York in un scambio telefonico con l’omologo israeliano Katz dai toni severi. E contatti ci sono stati fra i nostri Servizi segreti e il Mossad per coordinarsi sull’incolumità dei militari schierati al confine.

I DUBBI

«Il governo di Israele ci ha fornito garanzie», ha fatto sapere ieri il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia atteso domani a Bruxelles per la ministeriale Ue. Smobilitare la missione Onu, anche volendo — e Meloni non vuole per non venir meno agli impegni internazionali presi — non è impresa facile: sulla carta serve il via libera del Consiglio di sicurezza.

Tutt’altra questione invece Mibil, la missione bilaterale che l’Italia ha ancora attiva in Libano. Un’operazione nata con l’obiettivo di addestrare le forze armate regolari libanesi e considerata un successo a Roma. Tanto che nelle rispettive visite la scorsa primavera sia Meloni che Crosetto avevano ventilato l’ipotesi di aumentare la capacità massima della missione, ad oggi ferma a 190 unità. Ora questa presenza italiana viene messa in discussione. La missione, spiegano fonti autorevoli, «è in freezer», «che senso ha addestrare l’esercito libanese in questa fase?» ragionano.

Per di più, ora che Netanyahu ha scatenato un inferno di fuoco sul Libano per decapitare Hezbollah, neanche la capitale Beirut è un posto sicuro. A inizio agosto una cinquantina di addestratori italiani, alcuni appartenenti ai Carabinieri, è rientrata in Italia, ufficialmente un congedo dovuto alla pausa estiva. Ma il rientro è stato rinviato a data da destinarsi: a Beirut rimarrà una presenza minima (tra le dieci e le quindici unità) come segnale di continuità e affidabilità, in attesa di avere un nuovo incontro con le autorità libanesi, impensabile in queste ore di tensioni alle stelle.

Sono comunque segnali di un’apprensione che va crescendo, man mano che gli eventi in Medio Oriente precipitano. Il vero cruccio è il contingente Onu. Ora che la catena di comando di Hezbollah è stata smantellata, ragionano ai vertici della nostra diplomazia, il rischio che l’organizzazione sciita dismetta la struttura da para-stato e torni al vecchio business — gli attentati terroristici — si fa concreto. Verranno dunque meno i presupposti che hanno portato allo schieramento del contingente Unifil quarantasei anni fa? Dubbi e scenari prematuri, per ora.

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