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«Le spese obbligate si mangiano il 41,8% dei consumi delle famiglie»


L’inflazione è in calo ma il decollo dei prezzi, negli ultimi mesi, ha messo gli italiani spalle al muro costringendoli a investire quasi la metà dei loro stipendi in spese obbligatorie. Vale a dire, in particolare, casa e carburanti. Confcommercio analizza i bilanci delle famiglie e, nonostante un leggero calo negli ultimi 12 mesi, le voci di spesa incomprimibili restano comunque troppo alte perché si mangiano il 41,8 per cento dei consumi.

LA MAPPA
Secondo i dati dell’ufficio studi della confederazione, «su un totale di circa 21.800 euro pro capite di consumi all’anno, oltre 9.000 euro se ne vanno, appunto, per il complesso delle spese obbligate (348 euro in più rispetto al 2019)». Tra queste spese, la principale è la voce abitazione (4.830 euro), al cui interno un peso rilevante — anche se costantemente in calo dal 1995 ad oggi — viene dall’aggregato energia, gas e carburanti con 1.721 euro.

«Le spese obbligate, soprattutto quelle legate all’abitazione, penalizzano sempre di più i bilanci delle famiglie e di conseguenza riducono i consumi. Consumi che sono la principale componente della domanda interna. Per sostenerli occorre confermare l’accorpamento delle aliquote Irpef e ridurre progressivamente, e in modo strutturale, il carico fiscale», ha detto il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli. Le spese obbligate comunque non sono salite quest’anno, anzi, hanno avuto una «moderata riduzione» secondo Confcommercio, dal 42,2 per cento del 2023 al 41,8 per cento. Nel 2019 erano 40,6 per cento, nel 1995 36,6 per cento. Il calo quest’anno c’è stato anche per i beni commercializzabili (dal cibo ai libri, dalle auto agli elettrodomestici): sono scesi a 38,3% dal 38,7 per cento dell’anno scorso.

In compenso aumentano i servizi commercializzabili (dai trasporti al telefono, dall’istruzione alle vacanze): dal 19,2% del 2023 al 19,9% del 2024. Secondo Confcommercio, «ad amplificare la dimensione e, quindi, il peso delle spese obbligate è anche la dinamica dei prezzi che mostra una notevole difformità rispetto a quella degli altri beni e servizi: tra il 1995 e il 2024, infatti, l’indice di prezzo degli obbligati (+122,7%) è cresciuto più del doppio rispetto a quello dei beni commercializzabili (+55,6 per cento), dinamica influenzata anche da un deficit di concorrenza tra le imprese fornitrici di beni e servizi obbligati»».

LA PREOCCUPAZIONE
L’indagine di Confcommercio è stata accolta con una certa preoccupazione dalle associazioni dei consumatori. Uno, in particolare, ha suggerito di rilanciare i consumi delle famiglie, che rappresentano il 60 per cento del Pil, tagliando le tasse. Ma in maniera selettiva, partendo dalle famiglie a basso reddito.

Per ridare capacità di spesa ai ceti meno abbienti — ha ammonito Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, commentando la proposta di Confcommercio di accorpare le aliquote Irpef — con un peso sul debito pubblico che sta raggiungendo i 3.000 miliardi di euro non possiamo pensare di ridurre il carico fiscale a tutti, ma dobbiamo concentrare le poche risorse disponibili sugli italiani che faticano ad arrivare a fine mese, sia per un fatto di equità, sia per una ragione economica, dato che il primo quintile della popolazione, ossia il 20% più povero, ha una propensione marginale al consumo che è doppia rispetto all’ultimo quintile, ossia al 20% della popolazione più benestante.

GLI EFFETTI
Se si riducono le tasse anche a chi non ha comunque problemi a spendere — ha argomentato Dona — gli effetti sul Pil saranno minimi. Serve poi una legge sulla concorrenza completamente rinnovata rispetto a quella presentata dal governo e che abbia come scopo quello di ridurre le spese obbligate degli italiani».

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