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Le banche puntano sull’Italia, maxi acquisti di titoli di Stato


Ad aprile 2020, quando le banche italiane, a fronte di 2.490 miliardi di debito pubblico, con 87 miliardi di euro di bot e btp in pancia, detenevano quasi il 28% del passivo statale italiano. A giugno 2024 gli istituti posseggono circa 650 miliardi di btp, considerando un debito pubblico a un passo da quota 3 mila miliardi.

Da allora si è registrato un lungo percorso di stop and go che ha visto scendere l’ammontare di titoli di Stato custoditi nei portafogli degli istituti di credito. A pesare, sulla fuga dal debito italiano da parte delle banche, erano state le incertezze economiche a livello globale post pandemia, la guerra in Ucraina e, poi, la corsa dei tassi d’interesse: tre fattori che avevano fatto salire il grado di rischio negli investimenti in paesi con le finanze pubbliche in bilico.

Il record, in termini assoluti, comprendendo acquisti diretti e indiretti di tutti gli intermediari finanziari, era stato raggiunto, invece, a giugno 2022 con 712 miliardi (25,7% del totale), mentre il fondo è stato toccato all’inizio di quest’anno.

A gennaio le obbligazioni emesse dal Tesoro comprate dalle banche ammontavano a poco più di 632 miliardi, pari al 22%. Nei quattro mesi successivi la quota è rimasta pressoché identica, ma la quantità di bot e btp rilevata dal settore bancario è cresciuta con una significativa progressione: 636 miliardi a febbraio, lieve contrazione a marzo con 632 miliardi, poi di nuovo in salita ad aprile (639 miliardi) e maggio (oltre 641 miliardi).

La ricostruzione fatta dalla Fabi sulla base di dati di Bankitalia, stima che il dato di giugno potrebbe attestarsi a poco più di 651 miliardi. Calcolatrice alla mano, vorrebbe dire che nel primo semestre del 2024, le banche italiane hanno acquistato 19,2 miliardi in più: un balzo in avanti di oltre il 3% che lascia immaginare una strategia d’investimento simile anche in futuro.

CONTRIBUTI

Ci saranno nuovi incrementi, nei prossimi mesi, nella sottoscrizione di bond statali da parte delle banche della Penisola? La questione è centrale e molto dipenderà dall’interlocuzione che il governo avrà con i rappresentanti del settore bancario a settembre, durante gli incontri programmati per mettere a punto la legge di bilancio. Nelle scorse settimane si è tornato a parlare della tassa sui cosiddetti extraprofitti delle banche, ma l’ipotesi è stata smentita. È probabile che, a differenza dello scorso anno, il governo chieda una diversa contropartita al settore bancario come «contributo» all’economia. Nulla che abbia a che fare con prelievi tributari e versamenti diretti alla fiscalità generale. Se Palazzo Chigi si prepara a sensibilizzare i banchieri perché sia riconosciuto un maggior rendimento sui conti correnti (oggi i tassi sono rasoterra), per compensare la fiammata degli interessi sui mutui delle famiglie e sui prestiti delle imprese, gli istituti porteranno sul tavolo le proiezioni di acquisti di debito italiano: se la mannaia fiscale verrà definitivamente messa nel cassetto, le banche proseguiranno a incrementare le sottoscrizioni di titoli pubblici, garantendo così al governo un sostegno non indifferente. E c’è da scommettere che si tratta di un argomento sufficiente per convincere la controparte.

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