«Sono stata vista come l’ereditiera, come la moglie di, quella che voleva il giocattolino della boutique di Saint Tropez, che, tra parentesi, ha fruttato e frutta lauti guadagni». Jennifer Tommasi Bardelle, classe 1974, racconta così, senza mezzi termini e con tanta verve, questi ultimi dodici anni della sua vita: duri e complessi, visto che si è trovata vedova, con due figli piccoli, del «suo» Nicola Bardelle («lui era il vero genio»), proprietario di Jacob Cohen e ideatore del jeans di lusso. Ma anche pieni di soddisfazioni e di duro impegno, quelli che hanno reso quella che ora è presidente e direttore creativo del marchio, più sicura e autonoma. Lei è un’esplosione di vitalità durante l’inaugurazione della boutique romana Jacob Cohen, in via del Babuino. «Il primo punto vendita è stato quello di Saint Tropez, nel 2012. Ho insistito io per aprirlo perché lì almeno una volta all’anno passavano le persone più facoltose ed era quindi un ottimo terreno per testare il nostro prodotto. Poi c’è stato quello di Milano e qui a Roma abbiamo trovato l’occasione che cercavamo. Del resto riteniamo questa città molto importante per la moda e questo negozio, anche se piccolo, rappresenta perfettamente il nostro mondo, tra cemento, pelle e ottone». E, forse, questa volta, dopo tutte le difficoltà affrontate e superate, lei ammette che anche il marito, di solito abbastanza avaro nei complimenti, «mi avrebbe detto: ammazza che macchina da guerra che sei!».
SPIRITO D’AVVENTURA
Ammette anche che con tutti i problemi di questo ultimo decennio, dovuti anche molto al fatto che una donna alla guida di un’azienda «in Italia e tutt’ora non è vista benissimo», forse Nicola Bardelle avrebbe mollato il marchio e inventato qualcos’altro, con quella sua lungimiranza unita a spirito libero che gli permetteva di lanciarsi in sempre nuove avventure. «La sua e la nostra maggiore e migliore intuizione — racconta ancora Jennifer Tommasi Bardelle — è stata quella di togliere il nostro denim dalle jeanserie, di elevarlo da elemento funzionale a capo di moda e di lusso, duttile, che può essere indossato in ogni occasione, coi giusti accessori, anche a una serata elegante. In questo è stato ed è fondamentale la scelta del tessuto e il fit».
LE TAGLIE
Quest’ultimo, ci spiega, è una sorta di algoritmo della perfezione, che da Jacob Cohen riesce quasi sempre («siamo umani, sbagliamo anche noi, ma gli errori ci aiutano a migliorare») grazie a ben cinquanta passaggi, a una costruzione pazzesca che punta comunque al comfort «e al fatto che siamo per il denim quello che i napoletani sono per la sartoria. Il nostro reparto di modellistica non perde un colpo, anche se devo ammettere che non ci sono più i tessuti di una volta e spesso quelli di adesso, quando vengono prodotti, calano di tre taglie e non è semplice stare dietro a queste problematiche». Ma dalla sua la signora del jeans di nicchia ha anche una forte maniacalità: «In showroom la mattina controllo che le matite siano ben temperate o le sedie allineate. Me lo ha insegnato sempre Nicola e, del resto, è nei dettagli che si vede la differenza, come quando i primi jeans avevano bottone e rivetti in argento e veniva fornita una spugnetta apposita per lucidare queste parti. Adesso il passaggio che più mi affascina è quello che avviene in stireria, dove le signore che se ne occupano spruzzano nelle fodere delle tasche un profumo che ci caratterizza a base di note di patchouli e di legno di sandalo».
IL FUTURO
E per il futuro non mancano le novità, ci rivela: jeans con bottone con mini lingotto d’oro all’interno e, poi, anche l’utilizzo di pietre preziose, «perché c’è sempre più voglia di particolarità. E il cliente capisce la differenza di prezzo e di qualità, basta spiegargliela e soprattutto essere onesti con lui e rispettarlo». Jennifer Tommasi Batrdelle, insomma, ha capito che ci vuole razionalità, ma anche passione, come quando conobbe Nicola e dalla Sorbona e dai suoi studi artistici decise di tornare al primo amore: la moda.
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