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«La vittoria la dedico a mio padre»


La «tigna», raccontano, gliel’ha insegnata lo sport. E di determinazione ne ha dovuta dimostrare in abbondanza, Silvia Salis, per riuscire nella mission impossible di tenere unito un fronte che va dai Cinquestelle a Renzi e Calenda. Ci vuole il fisico. E lei, ex azzurra di lancio del martello, due Olimpiadi nel palmarès, «non è tipo da lasciarsi intimidire dalle sfide», assicura chi negli ultimi tre mesi ha girato con lei la città della Lanterna in lungo e in largo.

Profilo civico, appeal moderato. Ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze, avvertono gli amici: «Il cuore di Silvia è tutto a sinistra». Sulle orme di papà Eugenio, militante del Pci conosciutissimo nel quartiere di Sturla e custode dell’impianto di atletica di Villa Gentile dove Salis ha mosso i primi passi. Nello sport, «il primo ascensore sociale del Paese», e forse anche in politica. Ed è proprio al padre, scomparso all’inizio della campagna elettorale lo scorso febbraio, che ha dedicato la vittoria: «Oggi sarebbe orgoglioso di me». A festeggiare con lei a Genova ieri c’era il marito, il regista Fausto Brizzi, autore di successi al botteghino tipo “Notte prima degli Esami” e in passato coinvolto nella macchina scenografica delle Leopolde renziane. I due sono sposati dal 2020: due anni fa è nato il loro primo figlio, Eugenio, ieri in braccio alla madre attorniata dai sostenitori.

L’INTUIZIONE
Ad avere l’intuizione fu Andrea Orlando. Anche se dentro Italia viva rivendicano di essere stati loro i primi a notare il potenziale dell’ex martellista, già ospite sul palco dell’ultima Leopolda, un anno fa, insieme a Matteo Renzi (che la definì «un’atleta di quelle toste»). In ogni caso, è stato l’ex ministro e candidato dem in Liguria alle scorse regionali (che a Genova città prese il 52,3%, più o meno quanto Salis) a proporre il nome della numero due del Coni a Elly Schlein. Per provare a sparigliare le carte mentre il centrosinistra locale si arrovellava intorno a una serie di autocandidature, che però non mettevano d’accordo gli alleati. Salis, nonostante al debutto in politica, invece c’è riuscita. E pare che in un paio di occasioni, per superare i veti incrociati, abbia persino dovuto minacciare di ritirarsi.

All’inizio, nel centrosinistra, non erano tutti convinti. Troppo moderata, troppo «borghese», temeva qualcuno, lei che invece – raccontano i suoi – nelle scorse settimane «ha suscitato gli entusiasmi maggiori proprio in quei quartieri popolari e periferici dove si pensava avrebbe avuto più difficoltà a farsi accogliere». L’età giovane poi (40 anni a settembre), almeno per gli standard della politica italiana, non ha guastato, in una città tra quelle con l’età media più alta in Europa, in cui uno dei temi al centro del dibattito è stato proprio la fuga dei giovani.

GLI ATTACCHI
In campagna elettorale poi sono arrivati gli attacchi. Molti dei quali strumentali, attaccano dal Pd, oppure a sfondo sessista. «È carina, ma inesperta», una delle critiche piovute dal centrodestra. «Bassezze» a cui «ho scelto di rispondere con eleganza e fair play», le parole di Salis festeggiando la vittoria. «La città aveva bisogno di un vento nuovo, di scrollarsi di dosso una serie di anni e di avvenimenti che ci avevano portato ai disonori delle cronache». Anche per lei, come per Schlein, c’è una lezione da trarre, da queste comunali: «Genova ha dimostrato che quando il campo progressista si unisce e si mettono a confronto le due classi dirigenti, non c’è paragone. Insieme – osserva – si può vincere anche a livello nazionale».

Meglio allora concentrarsi «sulle moltissime cose che uniscono», anziché «sulle poche che dividono». Musica, per le orecchie della leader del Nazareno. Che pur non essendo a Genova è stata tra i primi a congratularsi ieri con la neo-sindaca. Lo stesso hanno fatto Conte, Calenda, Renzi, Fratoianni e Bonelli. Per una volta tutti, insolitamente, concordi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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