L’Italia è sempre più vecchia e povera. Un Paese con più occupati ma con salari reali che non hanno ancora recuperato la fiammata inflazionistica. Dopo la Germania (oltre 83 milioni di residenti) e la Francia (circa 68 milioni) è il terzo paese dell’UE27 per popolazione, con poco meno di 59 milioni di residenti al 1° gennaio 2024. Il rapporto annuale 2025 dell’Istat disegna un’Italia in trasformazione, che accusa il passaggio del tempo e ne risponde sotto diversi aspetti. Sottolinea che «le previsioni più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come di conseguenza principalmente degli effetti dell’evoluzione delle politiche commerciali globali». C’è comunque un «netto miglioramento» dei conti pubblici con la discesa dell’indebitamento netto dal 7,2% al 3,4% del Pil e un debito cresciuto di sette decimi al 135,3%, meno di quanto stimato da Psb e Commissione europea, per la spesa per interessi (2 decimi) e la ridotta crescita del Pil. Vediamo i dati principali e ciò che ne emerge.
Popolazione più anziana
Al 1° gennaio 2025 i residenti sono 58,9 milioni, in calo dello 0,6 per mille. Continuano a diminuire i nati (370mila nel 2024) mentre i decessi sono ancora alti (651mila), con un saldo negativo di 281mila unità. Un quarto della popolazione (il 24,7%, 14 milioni 573mila persone) ha più di 65 anni. Non solo, gli ultraottantenni (quasi 4,6 milioni) hanno superato i bambini con meno di 10 anni di età (4 milioni 326 mila). Una situazione impensabile 25 anni fa, quando gli under 10 erano 2,5 volte più degli over 80. Il tasso di fecondità è però sceso a 1,18 figli per donna.
Famiglie più povere
Tra il 2019 e il 2024, i salari reali hanno perso il 10,5% e così il 23,1% della popolazione si ritrova a rischio povertà o esclusione. Se si guarda alle retribuzioni di fatto (quelle che tengono conto anche dei contratti integrativi e del cambiamento di composizione dell’occupazione) la perdia si limita al 4,4%. Dato che al Sud è addirittura del 39,8%. L’inflazione ha eroso il potere d’acquisto e la povertà assoluta coinvolge circa 5,7 milioni di persone. Rispetto agli ultimi 20 anni, considerando anche l’occupazione indipendente, il singolo lavoratore ha pers il 7,3% el potere d’acquisto. Nonostante questo calo, tra il 2004 e il 2024 il reddito familiare equivalente è aumentato del 6,3% grazie: ai cambiamenti demografici, in particolare la riduzione della quota delle famiglie con figli; all’aumento del numero di componenti occupati; alla maggior diffusione della proprietà della casa di abitazione. Gli effetti si vedono anche sulle famiglie che diventano più piccole. Ben il 36.5% sono persone sole e meno di una coppia su tre ha figli. Negli ultimi 10 anni 97mila giovani laureati hanno lasciato l’Italia in quella che si può definire una fuga di cervelli. L’80% della crescita occupazionale, così, ha riguardato persone con più di 50 anni.
Il lavoro
Si è raggiunto il massimo storico di quasi 23,9 milioni di occupati. L’Italia presenta tassi di partecipazione tra i più bassi d’Europa, in particolare per giovani e donne. Il tasso di occupazione è salito al 62,2 per cento, ma l’inattività resta elevata. Quella giovanile è infatti l’unica in Europa a essere aumentata dal 2019. Va considerato che complessivamente aumenta la stabilità con i contratti a tempo indeterminato. Anche questo aspetto però non riguarda i giovani e le donne: oltre un terzo dei primi e quasi un quarto dellle seconde sperimenta forme di lavoro precario o di part-time involontario.
La salute
Un italiano su dieci ha difficoltà a curarsi. Si rinuncia alle prestazioni sanitarie, in particolare per le lunghe liste d’attesa o per motivi economici, e si ricorre sempre di più al privato. Calano gli anni vissuti in buona salute e cresce il disagio psicologico. La disabilità interessa circa 2,9 milioni di persone.
Il contributo migratorio
Tra le componenti in crescita si trovano la popolazione stranera residente e i nuovi cittadini italiani. Gli ingressi dall’estero hanno raggiunto 435 mila unità nel 2024, oltre il doppio delle 191 mila emigrazioni. I nuovi cittadini provengono principalmente da Paesi africani (oltre 81 mila), che registrano una crescita del 17,2%: Marocco, Egitto, Tunisia, Senegal, Burkina Faso e Nigeria. Gli arrivi dal continente americano sono cresciuti del 7,7%, principalmente da Argentina e Brasile che chiedono la cittadinanza italiana per iure sanguinis (31 mila). Gli ingressi dall’Asia sono aumentati del 4,7%, soprattutto da Bangladesh, Pakistan e India (65 mila). Calano del 16,4% i flussi dall’Europa. Rimangono significativi quelli dall’Ucrana (25 mila) e dall’Albania (27 mila), che si conferma il Paese principale di origine europeo degli stranieri che arrivano in Italia. Le emigrazioni nel 2024 sono state 191 mila unità (+20,5% rispetto al 2023), dei quali 156mila sono espatri dei cittadini. Le mete predilette sono Germania (20 mila espatri, 12,8% del totale), Spagna (19 mila, 12,1%) e Gran Bretagna (18 mila, 11,9%). Secondo le previsioni Eurostat, il saldo naturale tra nascite e decessi resterà negativo e continuerà ad aumentare. L’eventuale crescita della popolazione europea in futuro dipenderà in larga misura dal contributo del saldo migratorio.
Le nuove famiglie
Il numero di persone che vivono da sole cresce, così come aumentano le libere unioni, le famiglie monogenitore e quelle ricostruite. Cala invece la presenza dei nuclei familiari con figli. Oltre un terzo del totale sono famiglie monopersonali, solo il 28,2% sono coppie con figli. Nella UE27 il numero medio di figli per donna è sceso a 1,38. L’Italia ha tra i tassi di fecondità più bassi con 1,18 figli in media per donna: 1,19 al Nord, 1,12 al Centro e 1,20 nel Mezzogiorno. Inoltre è accentuata la posticipazione della nascita dei figli a età più mature: nel 2023 l’età media alla nascita del primo figlio è 31,8 anni in Italia e 29,8 nell’UE27.
I giovani
I giovani sono in calo e trovano difficoltà nella transizione verso l’età adulta con percorsi lunghi e tortuosi. Oltre due terzi dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori, con l’Italia che si colloca tra i paesi europei con la maggiore permanenza in famiglia. Tra i motivi si considerano instabilità lavorativa, difficoltà abitativa e incertezza economica.
Istruzione
Solo il 65,5% della popolazione tra i 25 e i 64 anni possiede almeno un diploma, un numero molto basso rispetto alla media europea dell’80 percento. In Italia il 21,6% sono laureati mentre resta elevanta la dispersione scolastica (9,8%). Si è spostato in avanti l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani grazie all’aumento degli anni medi di istruzione anche se il nostro Paese resta ancora indietro rispetto ai più grandi Paesi europei. Arrivando alle nuove tecnologie, nel 2023, solo il 45,8% della popolazione tra 16 e 74 anni possiede competenze digitali almeno di base, con forti disparità per età, sesso, titolo di studio e area geografica.