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la sua nuova collezione tra eleganza, passione e arte


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Durante il prestigioso Festival di Cannes 2025, un evento di rara intensità ha acceso l’atmosfera di glamour e sofisticatezza: Anton Giulio Grande, uno dei nomi più iconici dell’alta moda italiana, ha presentato in anteprima assoluta la sua nuova collezione presso l’elegante cornice dell’Hotel Marriott. Un momento magico, un vero e proprio trionfo di stile e creatività, che ha catturato l’attenzione di critici, celebrità e appassionati di moda provenienti da tutto il mondo.

La sfilata

Sul palco, otto abiti straordinari, ognuno più affascinante dell’altro, hanno sfilato con una fluidità che sembrava quasi danza. I capi, realizzati con maestria artigianale, hanno riscosso un successo travolgente, grazie alle loro linee sofisticate e ai dettagli ricamati che raccontano storie di passione e cultura. I colori scelti, il nero, l’argento e il rosso, sono simboli di eterna eleganza e potenza: il nero, classico e senza tempo, avvolge con mistero; l’argento, brillante e futurista, evoca la luce e il lusso; il rosso, passionale e vibrante, incarna l’ardore e la sensualità. Alcuni abiti presentavano tessuti in trasparenza e ricami incantevoli, tra cui alcuni con dettagli francesi meravigliosi che sembravano portare in scena un pezzo di magia, di romanticismo senza confini. La passerella si è trasformata in un vero e proprio spettacolo artistico, dove ogni abito era un’opera d’arte, un’ode alla bellezza, alla perfezione e alla cultura.

Lo stile di Anton Giulio Grande, che da oltre venticinque anni incanta il panorama dell’alta moda italiana e internazionale, si distingue per la ricchezza di ricami, la teatralità e il lusso senza compromessi. Originario di Lamezia Terme, a soli 17 anni ha lasciato la sua terra natale per trasferirsi a Firenze, dove ha studiato al Polimoda, e poi ha perfezionato la sua formazione al Fashion Institute of Technology di New York. A soli 23 anni, ha fondato la sua omonima casa di moda, dando vita a creazioni che hanno conquistato i red carpet più prestigiosi, diventando simboli di sensualità, eleganza e cultura. Le sue collezioni sono state celebrate in tutto il mondo, dalle passerelle di Milano a quelle di Parigi, con un successo che ha consacrato il suo nome tra i grandi della moda.

Anton Giulio Grande non è solo uno stilista: è un artista poliedrico, amante dell’arte e della letteratura, che trasporta emozioni profonde in ogni suo capo. Le sue creazioni sono spesso diventate opere d’arte, protagoniste di musei e copertine di riviste di tutto il mondo. Oltre alla moda, si dedica all’insegnamento e alla promozione culturale: è docente di moda e arte presso università italiane, e le sue creazioni sono spesso oggetto di tesi di laurea.

Attualmente, ricopre il ruolo di Presidente della Calabria Film Commission, una fondazione che si impegna a promuovere il territorio attraverso il cinema e la televisione, valorizzando cultura e narrazione. Recentemente, ha ricevuto il Premio a Parole Aperte presso il Vaticano, riconoscimento non solo per il suo contributo nel campo della moda, ma anche per il suo impegno nel promuovere il patrimonio culturale e cinematografico della Calabria.

Anton Giulio Grande, un nome che incarna l’eccellenza del Made in Italy nel mondo, un genio che unisce moda, arte e cultura in un’unica, indimenticabile sinfonia.

La sua creatività e la sua passione continuano a ispirare e a sorprendere, confermando che la vera eleganza nasce dall’amore per i dettagli, dalla cura maniacale e dall’audacia di sognare in grande.

Intervista a Anton Giulio Grande 

Come potremmo chiamare questa collezione meravigliosa?

«È una capsule collection, sono otto vestiti che racchiudono un po’ il mio stile. Sono stati creati usando tre colori basici: argento, rosso e nero. Questi, insieme al bianco, sono i colori che secondo me rappresentano l’eleganza nel tempo, nelle stagioni e oltre il trend, la moda che passa e poi ritorna. Sono colori «non colori» che si adattano a ogni occasione. I miei abiti sono sempre avvolti da uno stile che ho portato avanti da quasi 30 anni, dal sexy glamour. Non ho mai cambiato stile, né mi sono mai adeguato alle mode. Rappresento uno stile sempre femminile, sensuale, luxury, made in Italy, legato al mondo della donna: ricami, haute couture. È sempre un turbinio di emozioni: dentro un abito c’è una storia, un sentimento, una sofferenza, una solitudine.»

Quando inizia a creare un abito, parte proprio dal bozzetto. Se dovesse descrivere il momento in cui tu lo pensa, sente una connessione spirituale con un qualcosa che sta sopra di lei?

«È sempre spirituale. Talvolta la creatività scatta quando meno te l’aspetti. Non è mai un processo del tutto controllato, perché fa parte del nostro mondo di artisti. Può capitare vivendo una situazione, un momento di tristezza, malinconia, felicità, euforia, oppure attraverso un incontro, una mostra d’arte, la lettura di un libro, un viaggio senza meta. Non si può proprio descrivere. Io vivo l’alta moda così, non come un semplice business o moda di passaggio. Per me, un abito deve suscitare emozioni: in una sfilata, una donna o un uomo che lo vedono, devono emozionarsi. Il couturier ha questo compito: regalare emozioni. Gli abiti, poi, si trovano nell’atelier, nello showroom.»

Cosa pensa attualmente della moda italiana? C’è qualcosa di superfluo e qualcosa che invece manca?

«È un periodo di grande caos, un caos creativo. C’è una grande crisi sotto molti punti di vista. Lo stiamo vedendo con il turnover dei direttori creativi: durano due stagioni, cambiano, vengono ripristinati, e così via. Credo che un direttore creativo debba avere il tempo di immergersi nel mondo di uno stilista che ha fatto un’epoca, magari con 50 anni di carriera. Deve calarsi nel personaggio, rendendo la moda non una copia ma facendo un lavoro di approfondimento. La moda dovrebbe riflettere il passato, ma essere attuale, nel presente. Bisogna dare il tempo ai creativi di esprimersi. Oggi, invece, si pensa troppo al business e poco alla creatività. La vera moda nasce anche dai momenti difficili di grandi pionieri come Valentino,Chanel. La vera sfida creativa si combatte con la creatività stessa. Non bisogna subito sostituire un direttore creativo in caso di fallimento o di mancato fatturato, come spesso succede.»

Penultima domanda: una domanda che avrebbe voluto ricevere nella vita riguardo alla sua carriera?

«Tante, spesso i giornalisti si limitano al superfluo. Non tutte le interviste sono così. Questa invece è una domanda insolita e molto bella, che fa riflettere. Non c’è una risposta immediata: le domande dipendono anche dallo stato d’animo e dalla situazione attuale. La concezione di un abito non può essere automatica. Sono di una vecchia generazione: una collezione o un abito vanno creati soprattutto quando si ha l’ispirazione giusta. A volte è meglio saltare il progetto se non si è convinti. Si potrebbe chiedere molto a uno stilista: cosa lo ha portato a fare questo mestiere? È un mestiere che dà tanto, ma che toglie anche molto dalla vita, se fatto con devozione e fedeltà. Per me, è diventato la mia ragione di vita, il mio universo. Nei momenti difficili, sono state la famiglia e il lavoro le mie due ancore di salvezza.»

Quando ha capito che questo sarebbe stato il suo mestiere, la sua strada nel mondo dell’arte e della moda?

«In realtà, non l’ho mai capito del tutto. Penso di essere stato scelto, non di averlo scelto io. Sono stato scelto improvvisamente, attraverso visioni, sogni onirici, immagini. Ero un ragazzino, un outsider, diverso dagli altri. Ero affascinato da cose che allora erano quasi proibitive o scandalose: vedere mia madre, aprire gli armadi, vedere mia sorella che giocava con le Barbie e cambiava vestiti. Non c’era internet, ma sognavo ad occhi aperti. La moda non era così alla portata di tutti, era un privilegio di pochi. Ero un ragazzino che guardava le riviste di moda segretamente, amava la musica, i programmi televisivi del sabato sera con grandi dive come Loretta Goggi, Raffaella Carrà, Lorella Cuccarini, le gemelle Kessler. Sognavo di vestirle, erano momenti unici, miei e personali, che custodivo gelosamente. Spesso, anche quando cercavo di comunicarlo, incontravo episodi di bullismo. L’adolescenza di un ragazzo va tutelata: ci sono ferite che si portano dietro nel tempo.»

Ultima domanda: che cosa è per lei il talento creativo rispetto a questo mestiere? È qualcosa che si ha o non si ha?

«Il talento, secondo me, è la capacità di resistere nel tempo. Sono stato coerente: non mi sono mai interessato se un abito fosse di moda o no. Ho creato uno stile che può piacere o meno, amare o odiare, ma che si riconosce. La mia ambizione è essere un couturier che sa fare moda, cartamodelli, riconoscere se un vestito sta bene, se è cucito bene, se ha una buona linea, una plomb. È una vocazione: resistere nel tempo significa non stancarsi mai di fare questo lavoro, attingere energia da esso e trovare in questa professione una ragione di vita.»

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