Abita a Roma, ma in vita sua è stata praticamente ovunque. Così come ovunque in tv — prima su Mediaset, poi in Rai, Tv2000 e infine La7 — Licia Colò, oggi 62 anni, ha raccontato i suoi viaggi, il suo amore per la natura e per l’ambiente. «Amavo l’ambiente anche quando a farlo si passava da sfigati», ha spesso ricordato lei: nel 2017 liberò in mare una confezione di granchi ancora vivi acquistati al supermercato, e in rete si scatenò un putiferio. I tempi, evidentemente, non erano ancora maturi.
Alla guida di sedici edizioni di Alle falde del Kilimangiaro su Rai3 (dal 1998 al 2014), Colò è la regina dei programmi dai nomi esotici (Eden, Niagara, Timbuctu) ed è considerata la «guru» televisiva dei viaggi. La meta più amata in 35 anni di carriera non l’ha mai rivelata («Ogni viaggio mi ha lasciato qualcosa», dice), ma il cuore le è rimasto «in Australia e alle Isole Svalbard». Grande «improvvisatrice di valigie», ma mai senza un cappello a portata di mano, alla Indiana Jones, Colò ha passato quasi tutte le sue estati «lavorando, perché è la stagione migliore per fare i reportage. E dal 1989, io non ho mai fatto altro».
Eppure c’è un’estate, quella del 1983, che si è distinta nettamente dalle altre: «Fu l’estate del mio primo fallimento come viaggiatrice», sospira lei. «A pensarci oggi, penso che fossi pazza».
Che cosa è successo nel 1983?
«Avevo vent’anni e avevo appena cominciato a lavorare in tv. Era successo per caso: facevo la fotomodella a Milano e a un certo punto feci un provino ad Antenna Nord (poi Italia Uno, ndr), una televisione regionale che cercava un’annunciatrice. Avrei dovuto sostituire Gabriella Golia soltanto per un mese, invece mi rinnovarono il contratto. Ero molto felice. Decisi di festeggiare spendendo i primi soldi guadagnati con quel lavoro con un bel viaggio».
Da sola o in compagnia?
«Avevo in mente un viaggio avventurosissimo con il mio ragazzo. Come al solito, avevo delle idee allucinanti. Ma quella volta mi superai. Gli dissi: «Perché non facciamo un campeggio nautico?»»
E cosa sarebbe?
«E che ne so? Me lo inventai sul momento. Suonava bene».
In cosa consisteva il viaggio?
«Prima di tutto stabilimmo la meta: decidemmo di andare in Corsica, che al tempo non era nemmeno a buon mercato. Ma avevo preso lo stipendio e non mi importava. Poi affittammo un gommone. Il piano era: carichiamo sul gommone la tavola di windsurf, gli zaini, la tenda e giriamo l’isola fermandoci a dormire dove capita, sulle spiagge».
Come le è venuto in mente?
«A me sembrava il sogno della vita. Noi due, avventurieri solitari su un’isola che, quarant’anni fa, era ancora selvaggia. Il piano però ha cominciato quasi subito a fare acqua, letteralmente».
Cos’è successo?
«Innanzitutto il surf era enorme, e la quantità di roba che avevamo caricato sul gommone rendeva la nostra imbarcazione scomodissima e ridicola. Sembravamo continuamente sul punto di naufragare. Poi, la prima notte, troviamo una spiaggetta che ci sembra perfetta. Sabbia finissima, acqua turchese, paesaggio incontaminato. Noi due, soli. Ma c’è un problema».
Quale?
«Non avevamo portato né acqua né cibo, e naturalmente nel raggio di chilometri non c’era alcuna traccia di civiltà. Decidiamo comunque di restare a dormire sul gommone. Errore».
Perché?
«Perché ci siamo svegliati nel cuore della notte bagnati fradici: non avevamo preso in considerazione l’umidità che sale, nella notte, dal mare».
Avete mollato?
«Nemmeno per sogno. O meglio io ero determinata, il fidanzato di meno. Ma l’ho convinto che saremmo sopravvissuti. Infatti, nei giorni successivi, è andato tutto bene. Finché, a un certo punto, troviamo il paradiso».
Cos’è?
«Una spiaggia enorme. Lunga, larga, vastissima. E per qualche ragione non c’è nessuno. La sabbia, bianca, luccica alla luce del tramonto. È tutto spettacolare. Montiamo la tenda appena in tempo, prima che se ne vada la luce. I problemi sono iniziati col buio».
Perché?
«Nella notte ci rigiriamo nella tenda. Qualcosa non va. C’è nell’aria un odore nauseabondo, dolciastro, orribile. Usciamo, ma è buio pesto. Pensiamo: sarà colpa delle alghe».
E invece?
«E invece la mattina successiva ci rendiamo conto che abbiamo piantato la tenda a pochi metri dal cadavere di un capodoglio. Ha presente le dimensioni? Fu il colpo di grazia».
Che avete fatto?
«A quel punto abbiamo trovato uno di quei campeggi superfrequentati, iperserviti, roba da turisti standard. Quelli dove non c’è nemmeno un centimetro tra una tenda e l’altra. Le mie velleità esplorative sono state stroncate così: fu il primo grande fallimento di «Licia avventuriera»».
È più tornata in Corsica?
«Mai».
Il fidanzato?
«Purtroppo per lui, ha resistito per qualche altro viaggio».
Oggi d’estate dove se ne va?
«Negli ultimi anni ho viaggiato per lavoro nei paesi nordici, anche per sostenere il caldo terribile che c’è dalle nostre parti. I fiordi norvegesi sono una meraviglia della natura: ci tornerei anche domani mattina, per l’ambiente, l’atmosfera, la natura e la civiltà. Ma sono stupende anche l’Islanda, la Svezia e l’Estonia, dove sono andata l’anno scorso».
E se non viaggia per lavoro?
«Sono come il calzolaio che se ne va in giro con le scarpe rotte. Avendo passato tutta la vita in viaggio, nella mia estate ideale non prevedo di viaggiare. Se posso, e non lavoro, mi rintano in Val di Non (in provincia di Trento, ndr). L’estate oggi per me è in montagna. Non faccio nemmeno le camminate».
E quindi?
«L’ideale? Stare a casa con mia figlia, il mio cane e la temperatura delle Dolomiti. Lontana da qualsiasi gommone».
© RIPRODUZIONE RISERVATA