Più che un’intervista, quasi una maratona Mentana. Giorgia Meloni a tutto tondo, ieri ospite del direttore e gran matador del tg di La7, che l’ha tenuta inchiodata in studio quasi 15 minuti chiedendole anche delle mancate risposte ai cronisti: «falsi storici», ha risposto lei con un sorriso, invitando a far di conto sulle domande che ha raccolto da qui all’inizio del suo mandato. Si parte dagli Usa ovviamente, nel giorno in cui la pubblicazione del documento sulla nuova Strategia nazionale dell’amministrazione Trump ha terremotato, ancora una volta, i rapporti con l’Europa, destinataria degli affondi più duri. La premier millanta sicurezza o quanto meno cela l’effetto sorpresa. «Io non parlerei di un incrinarsi dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa», afferma, spiegando di condividere anche alcune delle critiche mosse dagli americani, come aveva già fatto in passato facendo storcere il naso ai leader europei, persino a “casa” di Emmanuel Macron, in un vertice all’Eliseo in cui aveva difeso la “lezione” all’Ue impartita da J.D. Vance, il numero 2 del tycoon. «L’Europa deve capire che, se vuole essere grande — torna a ribadire la presidente del Consiglio — deve essere in grado di difendersi da sola. Appaltando la sicurezza a qualcun altro c’è un prezzo da pagare. Io lo dico da tempo: per noi questa è un’occasione che ha un costo economico, ma produce libertà politica», ed è «un processo storico inevitabile».
L’UCRAINA
Sull’Ucraina «la linea del governo è molto chiara dall’inizio, l’abbiamo sostenuta per costruire la pace. La pace non si costruisce con le buone intenzioni ma con la deterrenza». Nessuna giravolta, mette dunque in chiaro la premier. «La linea del governo deve rimanere la stessa». Mentana le ricorda che anche il governo ha tuttavia in seno i suoi bastian contrario, cita la Lega e le sue mille rimostranze nel sostegno a Kiev. Ma l’Italia «ha potuto avere» sull’Ucraina «una postura seria e forte grazie a una maggioranza compatta. Io ascolto sempre quello che dicono i miei alleati, perché è giusto, aiuta a ragionare e a prendere delle decisioni più consapevoli». Ma «i fili ce li hanno i burattini… — dice con forza, sgombrando il campo dai sospetti su rapporti tra il Carroccio e il Cremlino — Questo non è un dibattito tra filo-russi, filo-americani, filo-europei. Noi siamo tutti filo-italiani. Il tema vero è: come si difende meglio l’interesse nazionale italiano?». E quel che accade lì dove continuano a piovere bombe «ci riguarda» e rischieremmo «di pagare un prezzo molto più alto facendo una scelta diversa», lasciando l’Ucraina al suo destino.
Meloni rifiuta poi le accuse di un’Italia timida con Israele su quanto accade in Cisgiordania. «La posizione italiana è sempre stata molto chiara», afferma, ricordando anche il suo intervento a New York, al Palazzo di Vetro della Nazioni Unite. Quanto al riconoscimento dello Stato della Palestina, la premier ribadisce le due condizioni poste dal suo governo e votate dal Parlamento: «il disarmo di Hamas e la certezza che non abbia un ruolo nella futura governance di Gaza». Dunque rimarca gli «sforzi italiani» per puntellare il piano Trump per la pace in Medio Oriente, lì dove c’è «una tregua fragile e moltissimo lavoro da fare» per non perdere «un’occasione che potrebbe non tornare».
Spazio poi ai temi di politica interna, a cominciare dalla riforma sulla separazione delle carriere delle toghe. «Il governo rimane in carica fino alla fine della legislatura comunque andrà il referendum», mete in chiaro Meloni. Niente remake del passato, quando Renzi dovette far le valigie e lasciare Palazzo Chigi. «Il mio consiglio è di andare a votare guardando nel merito delle norme». Sull’altra riforma voluta dal suo governo, il premierato, «non l’abbiamo mai messo in un cassetto, rimette il potere nelle mani dei cittadini e garantisce stabilità ai governi». Perché l’instabilità ha un costo salatissimo: «nei dieci anni precedenti all’arrivo di questo governo è costata, in termini di interessi sul debito, 265 miliardi di euro». Chiudere la riforma che ridisegna gli assetti dello Stato entro questa legislatura? «Fosse per me, volentieri. Ma dipende dal Parlamento». Con Elly Schlein il duello è in slow motion, per provare il gusto della sfida tocca riavvolgere il nastro di 24 ore. Ricondurlo a giovedì, quando in studio da Mentana c’era la segretaria dem. Il confronto diretto con Schlein? «Ho dichiarato varie volte la mia disponibilità a confrontarmi con il leader dell’opposizione, quando mi diranno chi è…», punge la premier, mentre oggi Atreju, la festa di Fdi, aprirà nel segno dei manifesti con “Elly in fuga”.
IL SUPERBONUS DI CONTE
Ma Meloni ne ha anche per Conte, pur non citandolo. In manovra sui salari «ad avere più soldi certo che si poteva fare di più, ma nello stesso anno nel quale io faccio una legge di bilancio che vale 18,7 miliardi di euro, ne pago 40 miliardi di Superbonus», si toglie un sassolino dalla scarpa. Abbandonando i toni istituzionali fuori dagli studi di via Novaro, quartiere Prati. E servendo l’antipasto di una campagna elettorale che si preannuncia croccantissima.
© RIPRODUZIONE RISERVATA



Leave feedback about this