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intese con i Paesi del Pacifico per aprire nuovi mercati


BRUXELLES Non più a trazione americana, ma neppure dritti nelle braccia della Cina. L’Europa si getta nella mischia del nuovo ordine internazionale e lancia una sfida destinata a sparigliare le carte: allearsi con il Regno Unito e i Paesi del Pacifico, dal Giappone al Canada fino all’Australia. E dare vita, così, a un terzo polo globale per ripensare — se non proprio rimpiazzare — il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio in crisi nera da anni. La diagnosi è fosca, nel pieno delle tensioni internazionali, ma sulla prognosi Ursula von der Leyen si mostra ottimista: il «libero scambio basato sulle regole» è ancora realizzabile, meglio ancora se a guida europea e con quei partner che ci stanno. Come, appunto, i 12 Paesi del Cptpp (oltre a quelli già indicati, ci sono pure Cile, Messico, Perù, Vietnam, Singapore, Malesia, Brunei e Nuova Zelanda). Il trattato commerciale transpacifico era nato dalla volontà di Barack Obama, ma gli Stati Uniti si ritirarono dai negoziati all’inizio della prima presidenza di Donald Trump; quattro anni fa Pechino si era candidata all’adesione, ma la sua domanda è rimasta da allora congelata per le enormi implicazioni che avrebbe avuto un’apertura al gigante asiatico.

FRONTE COMUNE

Presentando ai leader dei 27 Stati Ue l’iniziativa di fronte comune Ue-Cptpp, la presidente della Commissione ha spiegato che si tratterebbe di avviare «una riprogettazione del Wto, valutando in modo costruttivo cosa debba essere riformato al suo interno». Visto il loro passato disinteresse per l’area di libero scambio transpacifica, gli Usa non sarebbero automaticamente invitati al tavolo, ha lasciato intendere von der Leyen. Per dirla con le parole più nette del cancelliere tedesco Friedrich Merz, «se il Wto è così disfunzionale come si è dimostrata negli ultimi anni e apparentemente continua a essere, dobbiamo escogitare qualcos’altro» fino a «sostituire gradualmente» un’istituzione intergovernativa che non funziona più. Ad aprile era stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a esprimere il concetto senza giri di parole: «Il Wto è morto da qualche anno» e «sopravvive come un organismo in letargo a cui nessuno faceva già più riferimento» da tempo.

Per rassicurarla che l’Europa non sta preparando un agguato alle sue spalle, ieri il commissario al Commercio Maros Sefcovic ha avuto un colloquio telefonico con la direttrice generale del Wto, Ngozi Okonjo-Iweala. Bruxelles, affermano dalla Commissione, non vuole (perlomeno per ora) sostituire il Wto, ma «rivitalizzare e rafforzare» il sistema degli scambi globale, per affrontare sfide come «le politiche non di mercato», categoria a cui appartengono i sussidi pubblici che falsano la concorrenza, come quelli che vedono spesso la Cina sul banco degli imputati.

LA PARALISI

Con sede a Ginevra e 160 Paesi membri, l’Organizzazione mondiale del commercio è, di fatto, paralizzata dal 2019, quando gli Stati Uniti (prima con Trump e poi anche con Joe Biden) cominciarono a bloccare le nomine dei giudici dell’organo di appello, di fatto impedendo al Wto di avere un numero di membri sufficienti e di poter svolgere il suo ruolo di esame dei ricorsi e risoluzione delle controversie. Negli ultimi anni delle strutture temporanee e parallele a cui ha aderito l’Ue — ad esempio un meccanismo di arbitrato che, ad oggi, copre poco più della metà dei traffici globali — hanno provato a superare lo stallo e replicare le funzioni giurisdizionali del Wto, ed è da qui che Bruxelles vuole ripartire. Ad aggravare la crisi dell’organizzazione, pure la difficoltà di definire nuove regole valide per tutti in settori sensibili, come l’agricoltura, per i veti incrociati delle economie di maggior peso, Ue compresa.

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