«Avevo quattro anni e mamma sfilava alla Fiera di Milano. Io sfuggii ai nonni, mi arrampicai sulla passerella e corsi fra le sue braccia». È questo il primo, tenero ricordo di Lavinia Biagiotti Cigna su Milano. Cinquant’anni dopo, quell’abbraccio con la madre e con Milano non si è sciolto. Il marchio ad alta densità di romanità Laura Biagiotti celebra mezzo secolo di sodalizio con le passerelle milanesi. Dopo il debutto nel 1972 a Firenze, già nel 1974 la stilista sceglie Milano, città che non lascia più, spostandosi solo di indirizzo: prima la Fiera e, dal 1998, al Piccolo Teatro. Lo spazio dove domani celebrerà l’anniversario.
Nel 1974 Laura Biagiotti capì che Milano era il luogo giusto. Grande intuito.
«Sì, con lei c’erano nomi poi diventati pietre miliari della storia del made in Italy. Un gruppo di pionieri che stava per conquistare gli Stati Uniti».
C’è una foto storica della metà anni 80 che ritrae sua madre sotto al Duomo di Milano con Versace, Armani, Mila Schon, le sorelle Fendi. I pionieri sono diventati divi?
«Non solo divi, ma una grande squadra. Quei creativi, quei grandi nomi per me erano persone di famiglia. Fra loro c’era una sana competizione commerciale, ma c’era spirito di squadra, per cui il successo dell’uno era l’orgoglio dell’altro».
Laura Biagiotti nel 1998 approda al Piccolo Teatro.
«Dove ormai siamo da 26 anni. Il Piccolo è un’istituzione non solo per Milano, ma per l’Italia e l’Europa e io e mia madre abbiamo sempre considerato un grande privilegio sfilare lì, essere in qualche modo mecenati e sostenitori. Il Piccolo è la casa a Milano di Biagiotti».
Lei ricorda la prima sfilata al Piccolo?
«Certo, ero già in azienda. Rammento la telefonata tra mia madre e Giorgio Strehler, i primi di dicembre 1997; poi la sua morte alla vigilia di Natale. Si immaginava un nuovo modo di presentare la moda che unisse teatro, cultura e performance, ovvero quanto oggi è normalità. Quel febbraio 1998 c’era ancora la scenografia di Strehler del Così Fan Tutte: nel finale mia madre uscì tenendo stretto il libretto, a testimonianza del legame con il maestro».
Altri ricordi legati al Piccolo?
«Siamo stati primi a far sfilare gli olimpionici, quelli di Sydney 2000, con il campione Massimiliano Rosolino. E poi lo show con Carla Fracci».
La stilista e la ballerina.
«Mamma e Carla si volevano bene come sorelle. E Carla chiese a mia madre di sfilare e lei accettò subito: “l’uscita finale la fai tu”. Di solito toccava a una top, invece uscì la Fracci, un po’ danzando, un po’ sfilando. Provò e riprovò tante di quelle volte, come una novellina. Una lezione di professionalità che ho fatto mia».
La moda Biagiotti è sempre stata amica della donna. Cosa ha aggiunto Lavinia al brand?
«Considero un grande privilegio essere stata il braccio destro per vent’anni di mia madre. Lei ripeteva “mia figlia e io siamo intercambiabili” tanto che dal Duemila non si capisce quale sia una mia idea e quale di Laura. Quante volte penso “un capo così come l’avrebbe immaginato mia madre?”. Cerco di tenere il suo atteggiamento anche molto sereno nei confronti della moda e della donna».
Serena, mai superficiale.
«Da lei ho mutuato la grande ricerca nei tessuti, l’innovazione nelle lavorazioni. E la sostenibilità. Non abiti che dopo sei mesi diventano, non solo fuori moda, ma anche meno belli da indossare, perché la moda Biagiotti mette lo straordinario nel quotidiano e lo fa durare nel tempo. Laura Biagiotti è sogno, leggerezza, femminilità e fedeltà a sé, non dover per forza cambiare pelle».
I pezzi Laura Biagiotti del suo cuore?
«L’abito bambola e il cashmere. Il primo lo inventò nel ‘78 quando era incinta di me. Ampio con le balze, ma non premaman. Lei voleva lavorare con il suo pancione, indossando qualcosa di femminile. L’abito bambola c’è sempre, declinato in modi diversi. E poi la maglieria, il cashmere che avvolge come un abbraccio».
Tra i personaggi che ha amato vestire?
«Pat e Anna Cleveland, un’altra coppia di madre e figlia. Pat la chiamai anche quando cui scomparve mia madre e la sua passerella danzante mi fece ritrovare il sorriso».
Roma, Milano. Nel futuro?
«A Roma mia madre ha voluto sempre vivere e lavorare. Roma è ispirazione. Milano per me è la città d’adozione, è un luogo in cui ho gli amici e gli interessi di lavoro. Il terzo luogo del cuore è Venezia. Non è nei progetti, è il sogno. Ma sognare nella moda è fondamentale».
Qual è il più importante insegnamento di sue madre?
«Ripartire ogni giorno da un foglio bianco. Se ieri è stata una giornata difficile, oggi il foglio bianco fa ricominciare con energia. Milano per me è la città del foglio bianco, è la città in cui si ricomincia».
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