Un avviso di sfratto. Perentorio. Fratelli d’Italia chiede a Beppe Sala il passo indietro. Subito, prima che il Milano-gate travolga le Olimpiadi del 2026. A ventiquattro ore dalla linea della cautela sposata in pubblico dalla premier Giorgia Meloni il suo partito intona il coro delle dimissioni. «Non perché è stato indagato ma perché è palese che la sua gestione non sia all’altezza della qualità amministrativa che una città come Milano richiede» recita un dossier riservato letto dal Messaggero e inviato ieri sera per dare la linea ufficiale ai parlamentari di via della Scrofa.
«L’inadeguatezza del sindaco è evidente da tempo, così come il fallimento politico e amministrativo della sinistra: lascino spazio a chi può assicurare una nuova prospettiva di rilancio alla città, anche in vista dei prossimi importanti appuntamenti come le Olimpiadi di Milano-Cortina».
Lo scudo di Elly
Tutto si muove vorticosamente nei palazzi della politica scossi dall’inchiesta della procura di Milano. Anche e soprattutto in casa Pd. «Avanti ma nella discontinuità». La linea di Elly Schlein sulle sorti di Giuseppe Sala è stata definita ma non è stato facile metterla a punto. Sono state ore complicate per la segretaria dem quelle che hanno prodotto l’endorsement ufficiale di Elly in favore del sindaco lombardo. Schlein — che non ha mai troppo amato Sala, culturalmente diversissimo da lei: uno è un manager prestato alla politica e una sorta di residuato del renzismo, l’altra è una leader di quella sinistra tra il radical e il sentimentale più da orto urbano che da grattacieli stile Dubai — ha messo sul piatto della bilancia le varie convenienze e sconvenienze riguardanti la difesa del sindaco e la prosecuzione della sua esperienza amministrativa. Alla fine ha annunciato: «Le notizie sull’indagine di Milano non ci lasciano indifferenti. Anche per noi è importante capire bene i contorni precisi di questa vicenda. Abbiamo fiducia nel lavoro della magistratura, che dovrà accertare se ci sono state delle responsabilità penali individuali. Al contempo ribadiamo che il Pd è al fianco del sindaco Sala, che ho sentito per esprimergli direttamente la nostra vicinanza, e continua a sostenere il lavoro che l’amministrazione farà nei prossimi due anni per affrontare le grandi sfide che ha di fronte la città, dall’abitare alla transizione ambientale che va tenuta sempre insieme all’inclusione sociale e all’accessibilità».
Schlein chiede a Sala «segnali di innovazione e cambiamento». Ossia più attenzione alla vivibilità e alla inclusione di tutti nella città finora troppo escludente rispetto ai giovani e ai meno abbienti e troppo incline alle strategie di gruppi d’interesse. Nelle stesse ore il centrodestra vira verso il pugno duro con il sindaco di Milano. Finisce in minoranza il fronte “garantista” — ieri lo stesso Guardasigilli Carlo Nordio ha detto al Tg1 che Sala «non deve dimettersi» e sollevato dubbi su tempi e metodi della procura meneghina — mentre il partito di Meloni dà il via alla campagna per la conquista del capoluogo lombardo. «Fratelli d’Italia rispetta il principio della presunzione di innocenza fino alla sentenza di condanna definitiva. Questo vale per tutti, a prescindere dal colore politico» spiega il dossier interno preparato sotto la supervisione del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari.
«Ciò non toglie che si possa fare una riflessione politica sulla gestione di Milano da parte dell’attuale giunta di sinistra, che sta bloccando la città, con conseguenze sugli investimenti e sui cittadini vittime dei cantieri in stallo». Anche Salvini sente il profumo di elezioni: «Sarebbe opportuno che fossero i cittadini a poter tornare a esprimersi» tornava a battere ieri sera il “Capitano”. Lunedì il dossier finirà al centro di un vertice con Meloni e i leader della coalizione a Palazzo Chigi inizialmente convocato per discutere delle regionali.
Il rebus al Nazareno
Sono ore di crucci e struggimenti nelle segreterie di partito. Al Nazareno soprattutto. Che fare? L’«avanti con Sala» sancito dalla segretaria è dovuto anche, come dicono nei piani alti del Pd, alla sensazione (azzardata?) che dall’inchiesta della Procura meneghina non usciranno chissà quali prove capaci di trascinare nel gorgo la giunta di Palazzo Marino.
Quanto alle valutazioni politiche, se ne sono fatte tante in questa fase. Compresa quella che — vedi il caso Ignazio Marino a Roma — quando il Pd scarica un proprio sindaco al giro successivo vincono gli avversari (nel caso romano furono i grillini allora nemicissimi dei dem). Si è fatta insomma, e non era scontato in un Pd spesso poco coraggioso di fronte alle iniziative dei magistrati, una scelta garantista. Almeno per dovere d’ufficio.
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