Ciascuno fa da sé, ma la linea è comune. Quella della chiusura delle frontiere, un modello che in Europa fa proseliti. Sono otto i Paesi Ue che hanno reintrodotto dei controlli temporanei ai confini interni dell’Unione in deroga al codice Schengen (nove se aggiungiamo pure la Norvegia, che non è Ue ma fa parte dell’area di libera circolazione delle persone). Nell’elenco, l’Italia è in compagnia di Francia (misura decisa per la concomitanza con i Giochi Olimpici), Austria, Slovenia, Danimarca e Svezia. Ma da una manciata di giorni nella lista spicca soprattutto la Germania del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz (in difficoltà interna sul piano elettorale dopo la rimonta nelle urne dell’ultradestra di AfD): a partire dal 16 settembre scorso, Berlino ha istituito dei controlli lungo tutta la frontiera terrestre per un periodo di sei mesi, fino al 15 marzo 2025, motivandoli con i «rischi per la sicurezza legati alla migrazione irregolare» che «aggrava la situazione già tesa di accoglienza dei rifugiati». Preoccupazioni condivise con l’Austria, che ha chiuso i confini per frenare i flussi in arrivo dalla rotta balcanica, al pari della vicina Slovenia. Ma Vienna, così come Roma, pur condividendo la linea dura messa in pratica da Scholz, ha avvertito Berlino che non intende riprendersi i cosiddetti “dublinanti” respinti dalle autorità tedesche; le persone migranti, cioè, che arrivano in un Paese ma poi si spostano in un altro e che, in base alle disposizioni del Trattato di Dublino (sospese dall’Italia in ragione degli imponenti flussi mediterranei), sono trasferite verso lo Stato di primo approdo. Una posizione che potrebbe irrigidirsi ulteriormente alla luce delle elezioni di domenica a Vienna dove potrebbe vincere la destra.
LE RICETTE
Non riguarda i confini interni dell’Ue, ma quelli esterni, invece, la stretta decisa in estate dalla Finlandia, che ha sospeso l’esame delle domande d’asilo di chi prova a entrare dalla frontiera terrestre con la Russia; mentre il nuovo governo di destra olandese ha notificato alla Commissione la volontà di essere esentato dal rispetto delle regole comuni in materia di migrazione: difficile, poiché serve una modifica dei Trattati Ue da approvare all’unanimità. È, comunque, il segnale che la questione migratoria rimane in cima alle preoccupazioni di una serie di governi, per di più di diverso colore politico. Tanto che, assicurano a Bruxelles, sarà anche al centro del prossimo summit dei leader Ue in programma il 17-18 ottobre. L’obiettivo stavolta non è limitarsi, come accaduto di recente, solo a una discussione sul tema, ma di adottare un testo di conclusioni che si soffermi sia sulla dimensione interna sia, in particolare, su quella esterna. Con un focus, quindi, sul rafforzamento dei partenariati con i Paesi di origine e transito delle persone migranti (questione per cui, nel nuovo esecutivo guidata da Ursula von der Leyen, ci sarà una commissaria dedicata) e un potenziamento dei rimpatri e del contrasto al traffico di esseri umani. Sono una dozzina almeno — tra cui Italia, Francia, Germania, Austria e Paesi Bassi — i governi che premono in questa direzione.
IL VOTO A VIENNA
E intanto domenica si vota in Austria con il possibile successo della Fpö di estrema destra con il leader radicale Hertb Kickl che punta alla cancelleria. Da circa due anni La Fpö è in cima ai sondaggi e indicata solo da pochi giorni testa a testa con il partito popolare Övp del cancelliere Karl Nehammer. Vada come vada, sia che vinca la Övp sia la Fpö, la formazione di una coalizione di governo sarà un parto estremamente difficile e lungo e non si esclude, per la prima volta, la nascita di una alleanza tripartita. La Fpö, il partito nazional liberale guidato un tempo di Jörg Haider (un moderato, rispetto a Kickl…), ha fatto una campagna elettorale radicale incentrata su uno stop all’immigrazione e alla guerra in Ucraina, e cavalcando gli strascichi del Covid con attacchi alla politica del governo. Nel 2017 la Fpö era entrata nel governo del cancelliere Sebastian Kurz, ma nel 2019 il governo si era dimesso dopo lo scandalo di Ibiza (l’ex leader Fpö Heinz-Christian Strache pizzicato in un tentativo cedere beni pubblici in cambio di aiuti al partito). Kickl è partito all’attacco: «Costruiamo la fortezza Austria». E quindi stop immigrazione, confini chiusi, niente più asilo. Tema su cui sfonda in realtà una porta aperta nel Paese, e fatto proprio, anche se in modo più sfumato, un po’ da tutti i partiti. Sarà anche il frutto delle politiche degli ultimi anni, che hanno visto l’Austria in cima tra i Paesi Ue che hanno accolto il maggior numero di profughi. Quarta in termini assoluti in Europa, nel 2022 il numero delle domande di asilo era triplicato rispetto al 2021, il più alto in Europa: 108.490 su nove milioni di abitanti (39.930 nel 2021). Un vento che, da domenica, può cambiare.
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