14.05.2025
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il sesso non mi riguarda più»


Due giorni dopo la finale del Premio Strega, giovedì sera, Pino Strabioli ha le idee molto chiare: «È stata una bella sfida e mi sono divertito. Geppi Cucciari è stata scoppiettante e io al suo fianco credo di aver fatto la mia parte». Che poi sarebbe quella del gregario, ruolo che non gli pesa affatto, anzi. Nato sessant’anni fa a Porto San Giorgio (Fermo), ma cresciuto a Orvieto (Terni), Strabioli da una vita è attore, regista teatrale, conduttore radiofonico e televisivo (al momento su Rai1 con Il caffè e su Rai Radio2 con Grazie dei fior), va avanti a parlare e si spiega anche meglio: «Chi pensa di sminuirmi con la storia della spalla, si sbaglia. Sono curioso e amo le personalità forti dei grandi talenti. Nella mia carriera ho lavorato con Paolo Poli, Franca Valeri, Anna Marchesini, Morgan… Per me è stata una fortuna. Non ho problemi».

Sicuro?
«Certo. Non vivo la frustrazione del numero due. Mai avuta».

Viste le battute allo Strega sul ministro Sangiuliano, Insegno e Scurati, questa Rai, e quindi questo governo, in qualche modo la rappresenta?
«Non mi sembra proprio. In tv conduco una rubrica settimanale di libri dalle 6 alle 7 del mattino, non certo una prima serata».

Da ragazzo cosa la portò da Orvieto a Roma?
«La voglia di fare l’attore e la nostalgia per la città che ho sempre respirato a casa. Papà, militare, era dei Castelli. Mamma invece era romana di largo Preneste. Casalinga e depressa, ha sognato per una vita di tornare nella Capitale, senza riuscirci, la voglia di evadere dalla provincia me l’ha trasmessa lei. Così, appena possibile, ho fatto l’esame di ammissione all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico».

Che non superò, giusto?
«Sì. Facevo il ribelle punk, ma essendo vigliacco di indole e anche un po’ ipocondriaco — erano gli anni dell’Aids — certe libertà fisiche, dalle droghe al sesso, non me le sono mai concesse. Così facevo quello bizzarro: al provino recitai A Silvia e sulla «man veloce che percorrea la faticosa tela» mimai una masturbazione. E giustamente mi bocciarono».

Se non si fosse fidanzato con il regista Patrick Rossi Castaldi, con il quale poi fece tanti lavori in teatro, il Piano B quale sarebbe stato?
«Mi sarei iscritto a un’altra scuola di recitazione».

Anni fa disse che risolse il problema andando a letto con il regista.
«Feci una battuta a effetto che ancora oggi mi perseguita. Quello con Patrick, comunque, è stato un incontro importante che avrei fatto lo stesso».

D’istinto a chi deve maggior gratitudine?
«A mio padre, che mi ha sempre rispettato senza mai giudicarmi. E a mia madre, che egoisticamente mi ha tenuto sempre con sé facendomi vivere un’infanzia più appartata rispetto a quella di mio fratello — più grande di me di sei anni — costringendomi a sviluppare un immaginario tutto mio. Pieno di fantasie».

Quella che le ha dato la linea qual è stata?
«La presunzione, poi persa, di essere avanti rispetto ai miei coetanei. Un senso di superiorità che a Roma mi spinse ad avvicinare i grandi artisti. Facendo il cameriere in una creperia di piazza San Cosimato, incontrai Piero Gigli, caporedattore dell’Unità, al quale chiesi di poter fare piccole interviste a Franca Valeri, Dario Fo, Paolo Poli… Mi rispose di sì. Avevo la faccia tosta. Peccato che anni dopo cambiò tutto».

Come?
«Con una crisi di panico. Ero a Milano in tournée con Paolo Poli, si aprì il sipario ed ebbi un black out: non ricordavo più chi fossi né dove fossi. Iniziai ad aver paura della memoria e per un po’ di tempo lasciai il teatro».

Non andò da uno specialista?
«Andai da un medico, che fu anche rassicurante, ma non da un analista, anche se mio fratello fa proprio quello di mestiere».

E quindi, come finì?
«Conclusi il tour e smisi di accettare spettacoli itineranti per farne altri, inventati da me grazie alle esperienze fatte con Paolo Villaggio, Piera Degli Esposti, Franca, Paolo e tutti gli altri. Poi arrivò la tv grazie a Brando Giordani che mi chiamò a Uno Mattina».

Lei da sempre ama i grandi protagonisti dello spettacolo del Novecento, da Gabriella Ferri a Marcello Mastroianni: chi le piace tra quelli di oggi?
«Fra i nuovi Filippo Timi, Virginia Raffaele, Elio Germano, Raffaele Pollon… Penso che a mancare oggi sia soprattutto la voglia di stare insieme e fare gruppo. Oggi ci sono solo cani sciolti».
A proposito, da Geppi Cucciari a Morgan spesso le danno del domatore: ci si riconosce?
«Non ho il piglio adatto. Credo di essere bravo a instaurare rapporti umano con i miei interlocutori. Negli ultimi tempi mi è successo per la serie Rai In arte con Nannini, Vanoni e Pravo».

Si farà il bis di «StraMorgan»?
«Ho letto che Morgan, e sono contento per lui, dovrebbe fare per Rai3 proprio In arte Morgan. Io ci sarò solo nel titolo — visto che l’ho inventato io — perché nessuno mi ha chiamato».

Com’è possibile?
«Non ho un agente da quando Alessandro Lo Cascio, bravissimo, è morto a 56 anni nel 2023».

A Morgan ha detto qualcosa?
«No. Ma gli voglio bene lo stesso, lui è fatto così».

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Ma come? La scorsa estate lei prese anche le sue difese quando a Selinunte insultò il pubblico con frasi omofobe.
«E feci bene: non è omofobo».

A 60 anni ha raccolto il giusto?
«Mi sento alla pari, anche se in tv potrei fare di più. Sono grato al destino e so quanto è importante avere coscienza di sé. Non ho contratti milionari, ma per vivere bene non serve tanto».

Cosa non si direbbe mai di lei?
«Che cambio casa ogni 4 anni. Mi stanco facilmente degli appartamenti che affitto e così giro la città come un pazzo».

La cosa più illegale che ha fatto qual è?
«Qualche cannetta da ragazzo».

Se non fosse illegale che farebbe?
«Una vita da rockstar tipo Vasco Rossi o Patty Pravo, che hanno sempre fatto tutto in totale libertà. Io no, ma grazie a loro qualcosa ho respirato di riflesso. Quando facevo le serate con Paolo Villaggio mi divertivo come un matto. Una volta in scena, mentre stavamo parlando di altro davanti a duemila persone, all’improvviso urlò: «Madre Teresa di Calcutta è una stronza»».

E che c’entrava?
«Niente. Poi si avvicinò e mi sussurrò in un orecchio: «Vado a fare pipì, adesso pensaci tu». Quell’imbarazzo totale fu spaventoso ma anche bellissimo».

Ha mai vissuto quel momento in cui all’improvviso succede qualcosa e subito si capisce che…?
«Sì, certo. Anni fa morì un carissimo amico che mi aveva fatto scoprire cose meravigliose — dalla sessualità alla letteratura — e con il quale andai a fare le analisi dell’Hiv. Lui risultò positivo, io negativo. Fu uno shock. Morì dopo poco, fatto che segnò profondamente anche la mia vita intima».

Che cosa intende dire?
«Mi bloccai un po’, da lì partì la mia ipocondria. Oggi, per esempio, il sesso non mi riguarda più. Lo vivo attraverso gli altri».

Addirittura?
«Certo. Adoro farmi raccontare dagli amici e dalle amiche, etero e gay, le loro avventure con Tinder e Grindr, le app per gli incontri. Fanno di tutto. Mi piace indagare sul fronte scabroso degli altri. Vorrei addirittura fare un programma in tv per parlare di sessualità e sogni proibiti. Ma non riesco a farne uno sul teatro, figuriamoci uno così».

Alla fine, alla sua età, niente è meglio di…?
«Di lasciarsi andare».
P. S. Mezz’ora dopo la fine dell’intervista Strabioli lascia un vocale: «Scusa, ho dimenticato Sabrina Ferilli. È brava, è intelligente, è simpatica. Con lei farei qualsiasi cosa. Forever. È pazzesca».

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