Carlo Fidanza, capodelegazione di FdI a Strasburgo: per l’Italia sarebbe stato meglio uno stop a von der Leyen?
«Il voto è stata un’occasione persa. Non ne abbiamo mai fatto una questione personale, del resto il rapporto di collaborazione proficua e leale tra von der Leyen e Meloni è noto. Ci interessava la piattaforma politica. E questa progressivamente si è spostata verso sinistra e verso un Green Deal sempre più ideologico. Fino a questa mattina (ieri, ndr), con l’annuncio ad esempio di una stretta del 90% alle emissioni di gas serra entro il 2040. Significherebbe far chiudere migliaia di imprese. E questo è incompatibile con un nostro voto a favore».
Dunque quella sintonia con Giorgia Meloni che sembrava essersi creata su migranti accordi con l’Africa si è incrinata.
«Non credo. Credo invece che il rapporto personale tra le due resti intatto, come la disponibilità reciproca a collaborare. Disponibilità che peraltro è necessaria a entrambe: l’Italia ha tante partite aperte con la Commissione. E von der Leyen non può fare a meno di collaborare con un governo solido e credibile, il più stabile tra quello dei tre grandi Paesi fondatori dell’Ue. La nostra scelta di votare no non avrà ripercussioni. È la politica: a ogni azione corrisponde una reazione, nel reciproco rispetto».
Quindi non teme ricadute sul ruolo dell’Italia nella futura Commissione?
«No. Siamo certi che all’Italia verrà riconosciuto il portafoglio adeguato e il ruolo di peso che merita. Siamo la terza economia europea, la seconda manifattura dell’Unione. E soprattutto siamo un grande Paese fondatore. Elementi che saranno fatti valere da Giorgia Meloni e riconosciuti da von der Leyen».
Continuate a sperare in una vicepresidenza esecutiva?
«Se quella casella verrà istituita, ci auguriamo che ci venga riconosciuta. Per l’Italia puntiamo a ricoprire un ruolo come mai è avvenuto nelle ultime legislature, il massimo possibile. Il negoziato è aperto, tutto si definirà nelle prossime settimane».
Ma che senso ha annunciare il voto contro soltanto dopo averlo espresso, senza dirlo prima?
«A noi piace una politica in cui ciascuno si assume la responsabilità delle proprie scelte. Quindi, per quanto il nostro posizionamento non sia risultato maggioritario, abbiamo rivendicato di aver detto no senza partecipare al gioco dei franchi tiratori. Se avessimo annunciato prima il voto contrario, con ogni probabilità l’effetto dei franchi tiratori sarebbe aumentato, alimentando ricostruzioni e dietrologie. Invece non ci siamo espressi, per non condizionare nessuno e non dare la possibilità di ulteriori trame nell’ombra».
Qualcuno però ha dato una lettura maliziosa di questo silenzio: se von der Leyen avesse incassato una fiducia per il rotto della cuffia, avreste potuto dire di aver votato sì, rivendicando di essere stati determinanti.
«La possibilità di votare a favore non è mai stata sul tavolo, almeno non dopo il discorso di questa mattina (ieri). Di fronte a quegli impegni programmatici, in buona parte non condivisibili, il nostro sì sarebbe stato possibile solo in caso di un impegno anticipato pubblicamente a riconoscere un ruolo forte all’Italia. Siccome questo non è stato possibile, perché nei dettagli della Commissione si entrerà solo nelle prossime settimane, basandoci solo sul programma il nostro voto non poteva che essere negativo».
Significa che questa rassicurazione su un ruolo forte non è arrivata, nelle telefonate tra Meloni e von der Leyen?
«Sul fatto che l’Italia avrà un peso adeguato non ho dubbi. E sono certo ci sia anche la volontà di von der Leyen di riconoscerlo, a prescindere dal posizionamento di FdI. Basta attendere qualche settimana e lo vedremo».
Le opposizioni attaccano: avete messo l’Italia ai margini e votato insieme a Orban.
«Basterebbe vedere cosa hanno votato anche pezzi della sinistra. Sarebbe interessante sapere da dove arrivano i franchi tiratori che non hanno votato per Ursula: magari proprio dal gruppo socialista e, perché no, dal Pd. Noi abbiamo fatto una scelta alla luce del sole, seppur minoritaria. Ed è stata minoritaria per un margine ridotto, considerando i numeri di partenza che una maggioranza Ursula allargata ai Verdi avrebbe dovuto incassare. FdI ha chiesto il consenso degli italiani sulla base di posizioni ben precise. Vogliamo tener fede a quell’impegno, non spostarci in direzione opposta per seguire von der Leyen».
Se avesse fatto un altro tipo di discorso, l’esito sarebbe stato diverso?
«Avrebbe potuto. Ma onestamente era difficile aspettarsi un discorso diverso: per i numeri dell’Eurocamera e per i veti incrociati posti dai vari gruppi, era inevitabile che von der Leyen cercasse di blindare la maggioranza imbarcando i 53 Verdi. Il discorso programmatico mi ha deluso ma non mi ha sorpreso. Ma a maggior ragione, ci ha fatto constatare che non avremmo mai potuto votarla».
Andrea Bulleri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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