Non sarà la “verifica” di maggioranza che la Lega va chiedendo ormai da mesi, tendendo non poco i nervi della premier Giorgia Meloni. Un confronto però è necessario tra leader del centrodestra, per sbrogliare una matassa ingarbugliatissima. Da dove cominciare? Dal groviglio delle nomine Rai, con una governance scaduta e i partiti già pronti a infilzarsi sul nuovo Cda della tv pubblica? O dalla scelta del prossimo commissario europeo, cioè salvo colpi di scena Raffaele Fitto, ministro plenipotenziario della leader tra Roma e Bruxelles? Per non parlare della manovra e la caccia ai fondi già partita tra i corridoi del Mef nell’arsura di agosto. Ce n’è abbastanza per convocare tutti, o quasi, a Palazzo Chigi. È attesa per oggi, salvo che slitti al Cdm di mercoledì, una riunione tra Meloni e i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. Insieme a Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto, visti i dossier squadernati.
LA TV PUBBLICA
In cima alla pila sul tavolo della presidente del Consiglio c’è anzitutto il caso Rai. La governance è scaduta da due mesi e le dimissioni della presidente Marinella Soldi hanno messo il governo di fronte a un bivio. Accelerare, con uno scatto degno di Usain Bolt, e chiudere l’accordo sul Cda e il nuovo Ad — in pole l’attuale Dg Giampaolo Rossi, vedetta meloniana a viale Mazzini — o rinviare a settembre insabbiando sotto l’ombrellone rivendicazioni e tensioni con le opposizioni. Per mesi Meloni ha delegato — della Rai si occupa fra gli altri il sottosegretario-Richelieu Giovanbattista Fazzolari in diretto contatto con i “patrioti” in Commissione Vigilanza — infastidita non poco dal continuo can can intorno alla tv pubblica, tra gaffes, polemiche, accuse e contro-accuse di censure ed epurazioni. Insomma problemi, il più delle volte, è convinta lei, evitabili.
Uno sprint non è facile, visti i tempi strettissimi in Parlamento, l’assenza di un’intesa con le opposizioni che servono a eleggere il presidente Rai e i piedi puntati fra alleati (la Lega vuole il Dg). Si vedrà. Ma c’è molto di più sulla scrivania della timoniera di Chigi. Ad esempio una bozza della lettera che di qui a breve — la scadenza è il 30 agosto ma si muoverà prima — invierà ad Ursula von der Leyen per indicare il prossimo commissario italiano. Fosse per la leader, ed è ormai stranoto, ci sarebbe un solo curriculum da pinzare alla missiva europea. Raffaele Fitto, ministro agli Affari Ue e zar del Pnrr italiano, pontiere con capi di governo e di Stato, ministri e commissari europei, alleati e non.
Caso chiuso? Non così in fretta. Raccontano una premier combattuta sul da farsi. E arrovellata dal seguente dubbio: senza Fitto a Roma, chi si prenderà cura della mole di dossier che porta sulle spalle l’ex governatore pugliese? Il Pnrr non è in cima ai crucci della premier (lo è invece al Quirinale, dove chiedono lumi su chi e come, in caso, gestirà il Recovery italiano), perché il grosso delle gare è stato avviato e l’Italia marcia spedita lungo la tabella Ue, in attesa della settima rata. Semmai c’è da chiedersi chi seguirà gli altri dossier di uno dei pochi “Mr Wolf” di Meloni a Palazzo Chigi. Il tiro alla fune sui fondi di coesione, l’Ilva, il futuro di Open Fiber (su cui ha presieduto una recente riunione), la lista è lunga.
I NEGOZIATI
Meloni non ha ancora bollinato la lettera e si prenderà altro tempo, continuerà a sentirsi direttamente, come fa da settimane, con la presidente della Commissione. Ovvio che la vera partita è un’altra. Non il nome, ma il portafoglio che l’Italia riuscirà a strappare a Bruxelles. La premier è convinta che in ballo per Roma ci sia ancora una delega economica di peso. E questo nonostante il niet di Fratelli d’Italia alla rielezione di Ursula e l’astensione del governo italiano. Quale? Sono quattro le caselle attenzionate: concorrenza, mercato interno, bilancio (con Pnrr allegato) ed Economia.
Ma il cerchio va restringendosi. Von der Leyen medita di affidare la concorrenza — tallone d’Achille italiano e di tutti i grandi Stati membri — a un piccolo-medio Paese frugale e nordeuropeo, in continuità con la gestione danese dell’impassibile Margrethe Vestager. Per il mercato interno si è già mosso Emmanuel Macron, chiedendo ad Ursula di rinnovare il mandato al manager più amato dall’Eliseo, Thierry Breton. La via italiana è stretta, dunque. E anche di questo parlerà Meloni con gli alleati a Chigi. Poi, al solito, deciderà lei. E «punterà in alto», dicono i suoi. Convinti che accettare la fumosissima delega al Mediterraneo o il nuovo portafoglio alla Difesa, «una scatola vuota», non sia mai stata un’opzione .
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