Il punto serale sulle notizie del giorno
Iscriviti e ricevi le notizie via email
Cesare Cremonini ha una «storia articolata e complessa, con un sottotesto di manipolazione, di costrizione a una realtà che non esisteva». È quello che ha vissuto fino a cinque anni fa. Una storia di manipolazione, racconta al Corriere della Sera, costruita «dal mio ex manager Walter Mameli. È stato il mio scopritore, ma mi ha anche imprigionato: vivevo in un castello dorato, però mi era negata la possibilità di avere a che fare con qualunque essere umano che facesse parte del mio ambiente. Compreso Lucio Dalla». Si, esattamente. Lucio chiamava a casa la madre di Cesare perché voleva incontrarlo. Fino a quando un giorno non fu lui ad alzare il telefono…
Ora è libero e «sto riprendendo possesso di me, con calma ma con grandi risultati. Questa nuova apertura verso il mondo mi fa sentire un esordiente. Le collaborazioni con Luca Carboni, Elisa, Lorenzo Jovanotti derivano da un enorme fallo di reazione a una costrizione gigantesca».
E a proposito di Luca Carboni: «Mi dice sempre — racconta ancora al Corsera — sono stato fortunato perché sono uscito fuori grazie a Lucio Dalla. Poi lui si convinse di essere un manager. Cambiò look, mise giacca e cravatta. E fece nascere gli altri, dagli Stadio a Samuele Bersani».
Interessanti i ricordi di Luca, quelli che ha raccontato a Cesare. «Luca a 19 anni non voleva cantare, scriveva i testi ma non faceva girare le cassette con la sua voce. Un giorno passò davanti alla trattoria da Vito, vide che c’erano gli Stadio con Dalla che mangiavano in cucina. Andò dall’oste e gli chiese di consegnare i suoi testi a Lucio. Si accorse che lui li leggeva e li passava agli altri. Quando vide che Lucio stava per chiamare il numero che aveva scritto sui fogli, corse a casa per rispondere al telefono…».
Allo storico quotidiano di Via Solferino parla anche dell’esperienza al cinema con Pupi Avati. «Chiamai Lorenzo Jovanotti: “Sono spaventato, che faccio?”. Lui: “Sei protetto con Pupi, vai”». Così «andai da Pupi a Roma. Entrai e lanciò una penna in faccia al mio ex manager perché aveva paura di quanto gli sarei costato. La soddisfazione più grande fu quando pronunciai la mia prima battuta e Pupi si mise a ridere, una risata contagiosa che passò a suo fratello e poi a tutta la troupe».
La separazione dei genitori
Poi parla di suo padre e sua madre. «Ero con lui a cena in un ristorante, la Cesarina, dove andava sempre Lucio. Da quando si era separato da mamma che l’aveva mandato via di casa, a volte dopo il lavoro mi chiedeva di cenare con lui». La madre di Cesare si era stancato di lui, «di un marito che le diceva che persino il cinema era di troppo per lei perché aveva dei figli da seguire.
Avevo 12 anni o poco più quando una notte, vedendola piangere, andai in camera e le dissi: mamma, non è difficile, bisogna che lo lasci. Lei mi prese sul serio, il giorno dopo mio padre era in campagna insieme al cane. Mio fratello e io restammo con lei a Bologna». Al Corsera racconta che «in casa eravamo tre maschi, famiglia del ceto medio bolognese, padre medico con tre specializzazioni che aveva sposato una sua paziente di 22 anni quando lui ne aveva già 52. Mia madre aveva bisogno di un alleato. Io sicuramente lo sono stato e lo sono ancora oggi…». Ed è innegabile che ancora oggi sia una figura centrale per Cesare. Forse perchè «l’ho vista soffrire tanto non solo per mio padre. In casa ha aleggiato una forma depressiva, una palla infuocata che ci siamo passati a vicenda. Ho visto una persona molto imprigionata e molto sacrificata. Lei mi ricorda il diritto alla libertà, alla creatività, all’espressione di sé».
Cesare salvò la vita a suo padre.
Mi accorsi che non riusciva a parlare. Si accorse che non stava bene, non riusciva a parlare. Lo portò a casa. «Decisi di dormire con lui, spensi la luce: “Buonanotte”. Non rispose, era in coma. Lo portai al pronto soccorso del Bellaria, venne operato d’urgenza: aveva avuto un ictus micotico doppio, lo salvarono per un soffio. Dopo un mese lavorava di nuovo. Quel mese fu l’unico in cui mia madre non ebbe una sgridata».
E non nasconde che «sono due anni che prendo medicinali con costanza e questo mi permette di accettarmi come una persona che deve essere curata, mi dà anche una forma di pacatezza. Sono felice la mattina quando vado in cucina, mi preparo il caffè e vedo quelle pillole, rappresentano l’accettazione di me stesso».
La storia con Giorgia Cardinaletti
Cesare ha sempre scritto canzoni. Le prime le ha dedicate a Margherita, la sua compagna di banco. Un amore non corrisposto. E se si parla di amore, si parla di Giorgia Cardinaletti, di Ragazze facili, una canzone uscita grazie a lei: «Mi ha chiesto una cosa che può cambiare la vita di un uomo. Il coraggio di amare. Ho sentito fortemente questa richiesta, ma non ero in grado di farlo perché ero circondato da alibi, fantasmi che io chiamo metaforicamente Ragazze facili: non sono solamente figure che ti circondano, ma è il mondo che ti costruisci per non affrontare te stesso. Questa canzone ha rotto una diga, un argine che mi teneva fermo da anni. Sembra banale, ma si muore o ci si ammala per l’incapacità di amare». Una storia d’amore che con Giorgia «non c’è più», ammette al Corriere della Sera. Ma Cesare allo stesso modo ammette di non essere da solo: «Sono innamorato, non vado oltre».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
