Ufficialmente il tempo scade oggi. Nessuna proroga. Il concordato biennale preventivo per le Partite Iva, con collegato il ravvedimento speciale che permette di sanare cinque anni di tasse non versate a prezzi di saldo, chiude i cancelli. Come quasi sempre accade i contribuenti interessati ad aderire al “patto” biennale con il Fisco e alla sanatoria, stanno arrivando quasi tutti all’ultimo minuto. A quarantotto ore dalla scadenza del termine, secondo quanto ricostruito dal Messaggero, avevano aderito al concordato tra i 120 e i 130 mila autonomi per un importo medio di poco inferiore a 3 mila euro. Un trend che, salvo accelerazoni o decelerazioni improvvise, potrebbe portare il risultato finale a circa 500 mila adesioni. L’incasso totale insomma, dovrebbe essere attorno al miliardo e mezzo di euro. Soldi ai quali andranno poi aggiunti quelli derivanti dall’adesione alla sanatoria per i passati cinque anni. Il totale insomma, se il trend sarà confermato, potrebbe non allontanarsi troppo dai due miliardi “sperati”, ma mai ufficialmente dichiarati dal governo. I risultati ufficiali, ha spiegato ieri il vice ministro dell’Economia Maurizio Leo, arriveranno solo tra una decina di giorni. «Bisogna dare tempo all’Agenzia delle Entrate», ha sottolineato il vice ministro, «di elaborare tutti i dati delle dichiarazioni». Il governo è ottimista sui risultati. Sul gettito del concordato, ha detto ancora Leo, «dovremmo sicuramente avere notizie positive. Ci sarà», ha aggiunto, «necessariamente un aumento di gettito, sul concordato non abbiamo stimato entrate, quello che viene è tutto ben accetto». L’intenzione, già dichiarata, è di usare le risorse del concordato biennale preventivo per ridurre ulteriormente l’Irpef, e in particolare la seconda aliquota, quella del 35 per cento. Leo lo ha confermato. «Oggi», ha detto parlando ieri in Commissione, «abbiamo tre aliquote, 25%, 35% e 43%, sappiamo che il ceto medio si sta impoverendo e la nostra volontà è lavorare sulla famosa aliquota del 35%». A seconda delle risorse che saranno incassate, il governo deciderà se ridurre l’Irpef su questo scaglione al 34 o al 33 per cento.
IL PASSAGGIO
Ogni punto di riduzione costa oltre un miliardo di euro. In realtà sul tavolo del Tesoro c’è anche il progetto di alzare il limite reddituale dello scaglione, portandolo da 50 a 60 mila euro. Ma tagliare di due punti l’aliquota e contemporaneamente alzare lo scaglione, avrebbe un costo di 4 miliardi di euro. Probabilmente fuori portata per questa manovra.
Chi continua ad essere scettico sul successo del concordato, sono invece i commercialisti. «Si rischia un insuccesso della misura», caontinua a ribadire il Presidente del Consiglio nazionale Elbano De Nuccio. «I colleghi, che devono elaborare le proposte e valutarle con i contribuenti loro assistiti», è la tesi, da diversi giorni «lamentano evidenti difficoltà dovute all’esiguo tempo disponibile». A queste, inoltre, spiegano in una lettera inviata ieri a Leo e al direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini, si sono aggiunti problemi tecnici. «Un generale malfunzionamento dei servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entratel». La richiesta resta quella di una proroga. Sulla quale però, è arrivato ancora una volta l’altolà di Leo. Il dado, insomma, ormai è tratto. Intanto Cgil e Uil hanno proclamato lo sciopero generale sulla manovra per il 29 novembre. Da loro, ha commentato Giorgia Meloni, «solo un piccolissimo pregiudizio».
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